Venceslao, Parma, Rosati, 1724 (Il Venceslao)

 SCENA V
 
 LUCINDA da uomo con seguito e detti
 
 LUCINDA
 
    Come di fronda in fronda
110l’aura spirando va,
 così di pena in pena
 il cor sen vola.
 
    S’un raggio in ciel balena
 di torbida pietà
115fugge e s’invola.
 
 CASIMIRO
 (Purtroppo, amico, è dessa). (In disparte)
 LUCINDA
                                                       In qual oggetto
 vi affissate, o miei lumi?
 GISMONDO
 (Già ci osservò).
 CASIMIRO
                                 (Finger mi giovi).
 LUCINDA
                                                                    (O numi).
 CASIMIRO
 Stranier, che tale a queste spoglie, a questi
120tuoi compagni o custodi a me rassembri,
 e qual da miglior cielo a l’Orse algenti
 forte caggion ti trasse?
 LUCINDA
 (Non mi ravvisa). A mia gran sorte ascrivo
 che dal ciel lituano
125qui giunto appena, ove drizzai la meta,
 te incontri, eccelso prence.
 CASIMIRO
                                                   A te, che altrove
 giammai non vidi, ove fui noto e quando?
 LUCINDA
 In Lituania, ov’ebbi
 l’alto onor d’inchinarti.
130(Ah! Quasi dissi il fier destin d’amarti).
 CASIMIRO
 Qual t’appelli?
 LUCINDA
                              Lucindo.
 CASIMIRO
 L’ufficio tuo?
 LUCINDA
                            Di segretario in grado
 a Lucinda servia.
 CASIMIRO
 Lucinda?
 LUCINDA
                     Sì, l’erede
135del lituano regno.
 CASIMIRO
 Tu con Lucinda?
 GISMONDO
                                 (O come è scaltra!)
 LUCINDA
                                                                      Io seco
 era il giorno primier che i lumi tuoi
 s’incontraro co’ suoi,
 Giorno (ah giorno fatal!) che in voi si accese
140scambievol fiamma. Io seco
 alor che le giurasti eterno amore
 e sol fui testimon del suo rossore.
 (Fisso mi osserva). Ommai
 ti dovria sovvenir che in bianco foglio
145la marital tua fede,
 me presente, segnasti; e me presente,
 si strinse il sacro nodo.
 Ti dovria sovvenir ch’entro a sei lune
 tornare a lei giurasti;
150pur due volte d’alora
 compì l’anno il suo corso e non tornasti.
 (Misera). E non ancora
 ti sovviene qual io sia,
 io che fui testimon de le sue pene,
155de’ giuramenti tuoi?
 CASIMIRO
                                         Non mi sovviene.
 LUCINDA
 Non ti sovviene? Ingrato...
 CASIMIRO
                                                   A cui favelli?
 LUCINDA
 Così m’impose il dirti
 la tua fedel Lucinda: «E se» mi aggiunse
 «e se nulla ottenner puoi da quel core,
160fa’ ch’io ’l sappia, onde fine
 abbia con la mia vita il mio dolore».
 GISMONDO
 (A lagrimar m’astrigne).
 CASIMIRO
 Fole mi narri.
 LUCINDA
                             (O son tradita o figne).
 CASIMIRO
 Ma dovunque tu venga
165e qualunque sii tu,
 parti, o Lucindo, e non cercar di più.
 
    Ti consiglio a far ritorno,
 parti, va’;
 né cercar più di così.
 
170   Longo soggiorno
 ti sarà solo
 di pianto e duolo
 caggione un dì.