Venceslao, Venezia, Rossetti, 1722

 SCENA V
 
 LUCINDA da uomo con seguito e detti
 
 LUCINDA
115Lucinda, in quella reggia
 vive il tuo sposo, invano atteso tanto
 e sempre amato e pianto.
 Qual di sì lungo indugio
 scusa addurrà? Mio caro,
120purché altro amor non t’abbia avvinto, io sono
 paga di tue discolpe e ti perdono.
 CASIMIRO
 (Purtroppo, amico, è dessa). (In disparte)
 LUCINDA
                                                       In quale oggetto
 vi affissate, o miei lumi.
 GISMONDO
 (Già ci osservò).
 CASIMIRO
                                 Finger mi giovi.
 LUCINDA
                                                                 (O numi!)
 CASIMIRO
125Stranier, che tale a queste spoglie, a questi
 tuoi compagni o custodi a me rassembri,
 e qual da miglior cielo a l’Orse algenti
 forte cagion ti trasse?
 LUCINDA
 (Non mi ravvisa). A mia gran sorte ascrivo
130che dal ciel lituano
 qui giunto appena, ove drizzai la meta,
 te incontri, eccelso prence.
 CASIMIRO
                                                   A te, che altrove
 giammai non vidi, ove fui noto e quando?
 LUCINDA
 In Lituania, ov’ebbi
135l’alto onor d’inchinarti.
 (Ah! Quasi dissi il fier destin di amarti).
 CASIMIRO
 Qual ti appelli?
 LUCINDA
                               Lucindo.
 CASIMIRO
 L’uffizio tuo?
 LUCINDA
                            Di segretario in grado
 a Lucinda servia.
 CASIMIRO
140Lucinda?
 LUCINDA
                     Sì, l’erede
 del lituano regno.
 CASIMIRO
 Tu con Lucinda?
 GISMONDO
                                 (O com’è scaltro!)
 LUCINDA
                                                                    Io seco
 era il giorno primier che i lumi tuoi
 s’incontraro co’ suoi,
145giorno (ah giorno fatal) che in voi si accese
 scambievol fiamma. Io seco
 alor che le giurasti eterno amore
 e sol fui testimon del suo rossore.
 (Fiso mi osserva). Ommai
150ti dovria sovvenir che in bianco foglio
 la marital tua fede,
 me presente, segnasti; e me presente,
 si strinse il sacro nodo,
 si diede il casto amplesso.
155Ti dovria sovvenir ch’entro a sei lune
 tornare a lei giurasti;
 pur due volte d’alora
 compì l’anno il suo corso e non tornasti.
 (Misera!) E non ancora
160ti sovvien qual io sia,
 io che fui testimon de le sue pene,
 de’ giuramenti tuoi?
 CASIMIRO
                                         Non mi sovviene.
 LUCINDA
 Non ti sovviene? Ingrato...
 CASIMIRO
                                                   A cui favelli?
 LUCINDA
 Così m’impose il dirti
165la tua fedel Lucinda: «E se» mi aggiunse
 «e se nulla ottener puoi da quel core,
 fa’ ch’io ’l sappia, onde fine
 abbia con la mia vita il mio dolore».
 GISMONDO
 (A lagrimar mi astringe).
 CASIMIRO
170Fole mi narri.
 LUCINDA
                             (O son tradita o finge).
 CASIMIRO
 Ma dovunque tu venga
 e qualunque sii tu,
 parti, o Lucindo, e non cercar di più.
 
    Ti consiglio a far ritorno,
175parti, va’;
 né cercar più di così.
 
    Lungo soggiorno
 ti sarà solo
 di pianto e duolo
180cagione un dì.