Venceslao, Roma, Bernabò, 1716 (Il Vincislao)

 SCENA V
 
 LUCINDA da uomo e GERILDA anche da uomo con seguito e detti in disparte
 
 LUCINDA
 
115   Quest’aura che respira
 chi tanto il core adora
 m’alletta, mi ristora
 e fa contento il cor...
 
 GERILDA
 Mia signora?
 LUCINDA
                           Che chiedi?
 GERILDA
120Osserva là.
 CASIMIRO
                       (Purtroppo, Gildo, è dessa).
 GILDO
 (Questa è la principessa
 e quell’altra è la serva in verità).
 LUCINDA
 (In qual bramato oggetto
 vi affissate, o miei lumi?)
 GERILDA
125(Il mio Gildo v’è ancora).
 CASIMIRO
 (Finger mi giovi).
 GERILDA
                                    (A te sen viene).
 LUCINDA
                                                                    (Oh numi!)
 CASIMIRO
 Stranier, che tale a queste spoglie, a questi
 tuoi compagni o custodi a me rassembri,
 e qual da miglior cielo all’Orse algenti
130forte cagion ti trasse?
 LUCINDA
 (Non mi ravvisa). A mia gran sorte ascrivo
 che dal ciel lituano
 qui giunto appena, ove drizzai la meta,
 te incontri, eccelso prence.
 CASIMIRO
                                                   A te, che altrove
135giamai non viddi, ove fui noto e quando?
 LUCINDA
 In Lituania, ov’ebbi
 l’alto onor d’inchinarti.
 (Ah! Quasi dissi il fier destin d’amarti).
 GERILDA
 Gildo? (Da parte tra loro)
 GILDO
                 Chi sei, che chiedi.
 GERILDA
140Sono anch’io forastiero
 ma t’ho altrove parlato.
 E gran cose t’ho a dir.
 GILDO
                                          Resto obligato.
 CASIMIRO
 Qual ti appelli?
 LUCINDA
                               Lucindo.
 CASIMIRO
 L’uffizio tuo?
 LUCINDA
                            Di segretario in grado
145a Lucinda servia.
 CASIMIRO
 Lucinda?
 LUCINDA
                     Sì, l’erede
 del lituano regno.
 GILDO
 Non la conosco in verità. (Come sopra)
 GERILDA
                                                (Che indegno).
 CASIMIRO
 Tu con Lucinda?
 LUCINDA
                                 Io seco
150era il giorno primier che i lumi tuoi
 s’incontraro co’ suoi,
 giorno (ahi giorno fatal) che in voi s’accese
 scambievol fiamma; io seco
 allor che le giurasti eterno amore
155e allor che tu partisti,
 io sol fui testimon del suo dolore.
 (Fisso m’osserva). Omai
 ti dovria sovvenir ch’entro a sei lune
 tornare a lei giurasti;
160pur due volte d’allora
 compì l’anno il suo corso e non tornasti.
 (Misera!) E non ancora
 ti sovvien qual io sia,
 io che fui testimon delle sue pene,
165de’ giuramenti tuoi?
 CASIMIRO
                                         Non mi sovviene.
 GERILDA
 Ed ancor fai del sordo? (Come sopra)
 Pur ti voleva ben?
 GILDO
                                    Non mi ricordo.
 LUCINDA
 Non ti sovviene? Ingrato...
 CASIMIRO
                                                   A chi favelli?
 LUCINDA
 A te, a te. Così m’impose il dirti
170la tua fedel Lucinda: «E se» mi aggiunse
 «e se nulla ottener puoi da quel core,
 fa’ ch’io ’l sappia, onde possa
 estinguer nel mio sangue il mio dolore».
 CASIMIRO
 Fole mi narri.
 GERILDA
                             E del suo rio tormento (Come sopra)
175più memoria non hai?
 GILDO
                                            Non mi rammento.
 LUCINDA
 (O dal crudele io son tradita o finge).
 CASIMIRO
 Ma dovunque tu venga
 e qualunque sii tu,
 parti, o Lucindo, e non cercar di più.
 
180   Ti consiglio a far ritorno,
 parti, va’
 né cercar più di così;
 
    lungo soggiorno
 ti sarà solo
185di pianto e duolo
 cagione un dì.