Venceslao, Napoli, Muzio, 1714 (Vincislao)

 SCENA VIII
 
 LUCINDA e CASIMIRO
 
 LUCINDA
 Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
 giudice, iniquo re. Così mi serbi
1640la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
 ripigliati il tuo dono o tutto il rendi;
 se mi sei più crudel, meno mi offendi.
 E tu, che fai? Che non ti scuoti? Il cenno
1645udisti di un tiranno e non di un padre.
 Carnefice vuol torti
 la vita che ti diede e romper tutti
 gli ordini di giustizia e di natura.
 Né ti riscuoti? E soffri
1650attonito la tua, la mia sciagura?
 CASIMIRO
 Lucinda, anima mia,
 che far? Che dir poss’io? Veggio i miei mali
 e so di meritarli.
 Penso al tuo duolo e ti compiango. Oh sposa,
1655misera sposa! giunta
 a vederti tradire,
 a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
 sì vil, sì poco amante
1660che sofferire il possa?
 Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
 amor, forza e raggione.
 Ecciterò ne’ popoli lo sdegno,
 empierò d’ire il regno,
1665di tumulti la reggia,
 tratterò ferro e fuoco.
 
    E se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
 Un soccorso rifiuto
1670ch’esser può mio delitto e tuo periglio;
 il re mi è padre, io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, sei sposo ancora;
 serbi il nome di figlio a chi t’uccide,
 nieghi il nome di sposo a chi t’adora.
 CASIMIRO
1675Anzi questo è ’l sol nome
 che più m’è caro; io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante,
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; ti è cara, il veggio,
1680la morte tua, vanne, l’incontra; all’empio
 carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
 Ma sappi, io pur morrò
 dal ferro uccisa o dal dolor. Tu piangi?
 Tu impallidisci? Il mio morir tu temi?
1685Né temi il tuo? Che pietà è questa? Priva
 mi vuoi d’alma e di core e vuoi ch’io viva?
 CASIMIRO
 Sì, vivi, il dono è questo
 che ti chiedo in morendo. Addio, mia sposa,
 degna di miglior sorte
1690e di sposo miglior.
 LUCINDA
                                     Tu parti?
 CASIMIRO
                                                         Addio.
 Tollerar più non posso
 la pietà di quel pianto; andrò men forte,
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto, non ho costanza
1695per rimirarti a piangere;
 sposa, t’abbraccio, addio.
 
    Se più rimango, io moro
 ma non saria morir
 sugli occhi di chi adoro
1700il morir mio. (Parte)