Venceslao, Foligno, Campana, 1713 (Il fratricida innocente)

 SCENA VI
 
 LUCINDA, CASIMIRO e poi GISMONDO
 
 LUCINDA
 Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
 giudice, iniquo re, così mi serbi
1010la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
 ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi se’ più crudel, meno mi offendi.
 CASIMIRO
 Ah tempra, o cara, i pianti;
1015per me tutto il martire
 è il lasciarti, ben mio, non il morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
 sì vil, sì poco amante
 che sofferire il possa?
1020Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
 amor, sangue e ragione.
 Tua vita è di Lucinda
 e tiranno è di lei chi ne dispone.
 CASIMIRO
 Un soccorso rifiuto
1025ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
 Il re mi è padre, io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, sei sposo ancora.
 Serbi il nome di figlio a chi ti uccide,
 nieghi il nome di sposo a chi ti adora.
 CASIMIRO
1030Anzi questo è ’l sol nome
 che più mi è caro, io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; ti è cara, il veggio,
1035la morte tua. Vanne, l’incontra, a l’empio
 carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
 Ma sappi, io pur morrò dal ferro uccisa
 o dal dolor.
 CASIMIRO
                        Tu piangi?
 Tergi le luci, addio.
1040Più soffrir non poss’io
 la pietà di quel pianto. Andrò men forte
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto; non ho costanza
 per rimirarti a piangere.
1045Sposa, ti abbraccio. Addio.
 
    Se più rimango, io moro.
 Ma non saria morir
 sugl’occhi di chi adoro
 il morir mio.