Venceslao, Palermo, Cichè, 1708

 SCENA V
 
 LUCINDA da uomo con seguito e detti
 
 LUCINDA
 
    Come di fronda in fronda
 l’aura spirando va,
 così di pena in pena
120il cor sen vola.
 
    S’un raggio in ciel balena
 di torbida pietà
 fugge e s’invola.
 
 CASIMIRO
 (Purtroppo, Gildo, è dessa). (In disparte)
 LUCINDA
                                                      In quale oggetto
125vi affissate, o miei lumi?
 GILDO
 (Già ci osservò).
 CASIMIRO
                                 Finger mi giovi.
 LUCINDA
                                                                 (O numi).
 CASIMIRO
 Stranier, che tale a queste spoglie, a questi
 tuoi compagni o custodi a me rassembri,
 e qual da miglior cielo a l’Orse algenti
130forte cagion ti trasse?
 LUCINDA
 (Non mi ravvisa). A mia gran sorte ascrivo
 che dal ciel lituano
 qui giunto appena, ove drizzai la meta,
 te incontri, eccelso prence.
 CASIMIRO
                                                   A te, che altrove
135giammai non vidi, ove fui noto e quando?
 LUCINDA
 In Lituania, ov’ebbi
 l’alto onor d’inchinarti.
 (Ah quasi dissi il fier destin di amarti).
 CASIMIRO
 Qual ti appelli?
 LUCINDA
                               Lucindo.
 CASIMIRO
140L’ufficio tuo?
 LUCINDA
                            Di segretario in grado
 a Lucinda servia.
 CASIMIRO
 Lucinda?
 LUCINDA
                     Sì, l’erede
 del lituano regno.
 CASIMIRO
 Tu con Lucinda?
 GILDO
                                 (Oh com’è scaltra!)
 LUCINDA
                                                                      Io seco
145era il giorno primier che i lumi tuoi
 s’incontraro co’ suoi,
 giorno (ah giorno fatal) che in voi s’accese
 scambievole fiamma. Io seco
 alor che le giurasti eterno amore
150e sol fui testimon del suo rossore.
 (Fisso mi osserva). Omai
 ti dovria sovvenir che in bianco foglio
 la marital tua fede,
 me presente, segnasti; e me presente
155si strinse il sacro nodo,
 si diede il casto amplesso.
 Ti dovria sovvenir ch’entro a sei lune
 tornare a lei giurasti;
 pur due volte d’alora
160compì l’anno il suo corso e non tornasti.
 (Misera!) E non ancora
 ti sovvien qual io sia,
 io che fui testimon de le sue pene,
 de’ giuramenti tuoi?
 CASIMIRO
                                         Non mi sovviene.
 LUCINDA
165Non ti sovviene! Ingrato...
 CASIMIRO
                                                  A cui favelli?
 LUCINDA
 Così m’impose il dirti
 la tua fedel Lucinda; e sì mi aggiunse:
 «E se nulla ottener poi da quel core,
 fa’ ch’io ’l sappia, onde fine
170abbia con la mia vita il mio dolore».
 GILDO
 (A lagrimar mi astringe).
 CASIMIRO
 Fole mi narri.
 LUCINDA
                             O son tradita o finge.
 CASIMIRO
 Ma dovunque tu venga
 e qualunque sii tu,
175parti, o Lucindo, e non cercar di più.
 
    Ti consiglio a far ritorno,
 parti, va’;
 né cercar più di così.
 
    Lungo soggiorno
180ti sarà solo
 di pianto e duolo
 cagione un dì.