Venceslao, Milano, Malatesta, 1705

 SCENA VII
 
 LUCINDA, CASIMIRO e poi GISMONDO
 
 LUCINDA
 Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
1155giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
 ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi se’ più crudel, meno mi offendi.
1160E tu che fai? Che non ti scuoti? Il cenno
 udisti di un tiranno e non di un padre.
 Carnefice vuol torti
 la vita che ti diede e romper tutti
 gli ordini di giustizia e di natura.
1165Né ti risenti? E soffri
 attonito la tua, la mia sciagura?
 CASIMIRO
 Lucinda, anima mia,
 che far? Che dir poss’io? Veggo i miei mali
 e so di meritarli.
1170Penso al tuo duolo e ti compiango. O sposa,
 misera sposa! giunta
 a vederti tradire,
 a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
1175sì vil, sì poco amante
 che sofferire il possa?
 Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
 amor, sangue, ragione.
 Ecciterò ne’ popoli lo sdegno.
1180Empierò d’ire il regno,
 di tumulto la reggia,
 tratterò ferro e foco.
 
    E se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
1185Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
 Il re mi è padre, io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, se’ sposo ancora.
 Serbi il nome di figlio a chi ti uccide,
1190nieghi il nome di sposo a chi ti adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è ’l sol nome
 che più mi è caro, io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
1195Va’ pur; ti è cara, il veggio,
 la morte tua. Vanne, l’incontra, a l’empio
 carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
 Ma sappi, io pur morrò,
 dal ferro uccisa o dal dolor. Tu piangi!
1200Tu impallidisci! Il mio morir tu temi!
 Né temi il tuo! Che pietà è questa! Priva
 mi vuoi d’alma e di core e vuoi ch’io viva?
 CASIMIRO
 Sì, vivi. Il dono è questo
 che ti chiedo in morendo.
 GISMONDO
                                                 Il cor da l’alma
1205svellersi sento. Prence...
 CASIMIRO
 L’infelice sa tosto
 la sua sciagura.
 GISMONDO
                               Il regal padre...
 CASIMIRO
                                                             Intendo.
 Vengo, vengo, Gismondo. Un sol momento
 dona a un misero amico, a un fido amante.
 GISMONDO
1210E resisto!
 LUCINDA
                     E non moro!
 CASIMIRO
                                              Addio, mia sposa,
 degna di miglior sorte
 e di sposo miglior.
 LUCINDA
                                     Tu parti?
 CASIMIRO
                                                         Addio.
 Tollerar più non posso
 la pietà di quel pianto. Andrò men forte,
1215se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto; non ho costanza
 per rimirarti a piangere.
 Sposa, ti abbraccio. Addio.
 
    Se più rimango, io moro.
1220Ma non saria morir
 sugli occhi di chi adoro
 il morir mio.