Venceslao, Firenze, Vangelisti, 1704 (Vincislao)

 SCENA VII
 
 LUCINDA e CASIMIRO
 
 LUCINDA
 Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
 giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
1085Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
 ripigliati il tuo dono o tutto il rendi,
 se mi sei più crudel, meno m’offendi.
 E tu che fai? Che non ti scuoti? Il cenno
 udisti di un tiranno e non di un padre.
1090Carnefice vuol torti
 la vita che ti diede e romper tutti
 gli ordini di giustizia e di natura.
 Né ti risenti? E soffri
 attonito la tua, la mia sciagura?
 CASIMIRO
1095Lucinda, anima mia,
 che far, che dir poss’io? Veggio i miei mali
 e so di meritarli.
 Penso al tuo duolo e ti compiango; o sposa,
 misera sposa! giunta
1100a vederti tradire,
 a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
 sì vil, sì poco amante
 che sofferire il possa?
1105Meco ho guerrieri, ho meco ardire, ho meco
 amor, sangue e ragione;
 ecciterò ne’ popoli lo sdegno,
 empierò d’ire il regno,
 di tumulti la reggia,
1110tratterò ferro e foco.
 
    E se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
 Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio;
1115il re mi è padre, io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, sei sposo ancora;
 serbi il nome di figlio a chi t’uccide,
 nieghi il nome di sposo a chi t’adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è ’l sol nome
1120che più m’è caro, io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante;
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; ti è cara, il veggio,
 la morte tua, vanne, l’incontra, all’empio
1125carnefice fa’ core e ’l colpo affretta;
 ma sappi, io pur morrò,
 dal ferro uccisa o dal dolor. Tu piangi?
 Tu impallidisci? Il mio morir tu temi?
 Né temi il tuo? Che pietà è questa? Priva
1130mi vuoi d’alma e di core e vuoi ch’io viva?
 CASIMIRO
 Sì, vivi. Il dono è questo
 che ti chiedo in morendo. Addio, mia sposa,
 degna di miglior sorte
 e di sposo miglior.
 LUCINDA
                                     Tu parti?
 CASIMIRO
                                                         Addio.
1135Tollerar più non posso
 la pietà di quel pianto; andrò men forte,
 se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto, non ho costanza
 per rimirarti a piangere;
1140sposa, t’abbraccio, addio.
 
    Se più rimango, io moro
 ma non saria morir
 sugli occhi di chi adoro
 il morir mio.