Venceslao, Venezia, Albrizzi, 1703

 SCENA VII
 
 LUCINDA, CASIMIRO
 
 LUCINDA
 Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
1250giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
 ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi se’ più crudel, meno mi offendi.
1255E tu che fai? Che non ti scuoti? Il cenno
 udisti di un tiranno e non di un padre.
 Carnefice vuol torti
 la vita che ti diede e romper tutti
 gli ordini di giustizia e di natura.
1260Né ti risenti? E soffri
 attonito la tua, la mia sciagura?
 CASIMIRO
 Lucinda, anima mia,
 che far? Che dir poss’io? Veggo i miei mali
 e so di meritarli.
1265Penso al tuo duolo e ti compiango. O sposa,
 misera sposa! giunta
 a vederti tradire,
 a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
1270sì vil, sì poco amante
 che sofferire il possa?
 Meco ho guerrieri; ho meco ardire; ho meco
 amor, sangue, ragione.
 Ecciterò ne’ popoli lo sdegno;
1275empierò d’ire il regno,
 di tumulto la reggia,
 tratterò ferro e foco;
 
    e se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
1280Disperati consigli amor ti detta.
 Che tu li siegua è vano
 per me, per te funesto.
 Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
1285Il re mi è padre; io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, se’ sposo ancora.
 Serbi il nome di figlio a chi ti uccide,
 nieghi il nome di sposo a chi ti adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è ’l sol nome
1290che più mi è caro, io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante;
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; ti è cara, il veggio,
 la morte tua. Vanne, l’incontra; a l’empio
1295carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
 Ma sappi, io pur morrò. Mi avrai ben tosto
 tua compagna a la tomba.
 Spirerò sul tuo capo,
 caderò sul tuo busto
1300dal ferro uccisa o dal dolor. Tu piangi?
 Tu impallidisci? Il mio morir tu temi?
 Né temi il tuo? Che pietà è questa? Priva
 mi vuoi d’alma e di core e vuoi ch’io viva?
 CASIMIRO
 Sì, vivi; il dono è questo
1305che ti chiedo in morendo. Addio, mia sposa,
 degna di miglior sorte
 e di sposo miglior.
 LUCINDA
                                     Tu parti?
 CASIMIRO
                                                         Addio.
 Tollerar più non posso
 la pietà di quel pianto. Andrò men forte,
1310se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto; non ho costanza
 per rimirarti a piangere.
 Sposa, ti abbraccio. Addio.
 
    Se più rimango, io moro.
1315Ma non saria morir
 sugli occhi di chi adoro
 il morir mio.