Venceslao, Venezia, Albrizzi, 1703

 SCENA II
 
 LUCINDA con seguito e li suddetti
 
 LUCINDA
375Del sarmatico cielo inclito Giove,
 per cui la fredda Vistula è superba
 più de l’Istro e del Tebro,
 re, la cui minor gloria è la fortuna,
 quella, ch’estinto il genitor Gustavo
380di Lituania or regge
 le belle spiagge e ’l fertil suol, Lucinda,
 a te, la cui gran fama
 non v’è cui nota, o Venceslao, non sia,
 per alto affar me suo ministro invia.
 VENCESLAO
385Di sì illustre regina,
 la cui virtù sublime
 è fregio al debol sesso, invidia al forte,
 ch’io servir possa a’ cenni è mia gran sorte.
 Piacciati sol per poco
390sospenderne il contento a’ voti miei,
 nobil stranier. Qui meco
 spettatore ti assidi e andran più gonfi
 de l’onor di tua vista i miei trionfi. (Aprendosi il prospetto si vede nell’alto la Pace in macchina e nel basso montuosa orrida, dal cui seno esce la Discordia sopra spaventoso dragone)
 PACE
 
    Care spiagge, amato regno,
395ferme gioie a voi prometto.
 
    Qui sia riso e qui diletto;
 né lo turbi invidia o sdegno.
 
 DISCORDIA
 No no, pace non abbia
 questo cielo nemico.
400Voi mostri miei, voi lo agitate. Il vostro
 velen l’aure ne infetti.
 Qui spargete i tumulti,
 popolate la guerra
 e del vostro furor s’empia la terra.
 PACE
405Tanto, o Discordia, ardisci? E ancor resisti?
 Torna, o mostro spietato,
 a le torbide rive onde sortisti. (Resta dalla Pace fulminata la Discordia assieme col suo dragone, dal cui ventre aperto escono vari mostri che in forma di battaglia formano un ballo, finché tutti rimangono estinti. Torna allora a chiudersi il monte che tutti assieme col dragone li seppellisce. Finiti gli spettacoli, partono Alessandro, Ernando e Gismondo)