Lucio Vero, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA XIV
 
 ANICETO
 
 ANICETO
 A che tanta pietà? Cotanto affanno
 perché? No, non m’inganno.
 Non è del volgo uom vile
 quegli, per la cui vita
320fa voti una regina. Illustre il rende
 la colpa e la difesa.
 Ma qualunque egli sia, con la sua morte
 tolgasi d’un inciampo o d’un sospetto
 l’amor d’augusto e il mio.
325Lucilla è la mia vita; e tutto perdo
 s’ella è sposa d’altrui. L’oggetto amato
 Berenice le usurpi;
 e poi, chi sa? l’uomo a sé stesso è fato.
 
    Mi perdona, amato bene,
330se autor son delle tue pene;
 perché t’amo, ancor t’offendo.
 
    T’amo, sì; pur quel son io
 che, per farti acquisto mio,
 regno e sposo a te contendo.