Caio Fabbricio, Venezia, Pasquali, 1744 (Caio Fabbrizio)

 SCENA VIII
 
 FABBRIZIO e poi SESTIA
 
 FABBRIZIO
 Quai malefici influssi
 volgono in questo ciel! Qui fede in bando,
 qui ragione in dispregio,
 qui giustizia in obblio. Scorgo anche inciampi
795per l’istessa innocenza. Or m’odi, o figlia.
 SESTIA
 Che fia?
 FABBRIZIO
                   Chi mai pensato
 l’avrebbe?
 SESTIA
                       E che?
 FABBRIZIO
                                      Sotto nimiche spoglie
 Volusio...
 SESTIA
                    (L’idol mio).
 FABBRIZIO
 Sta nel campo di Pirro.
 SESTIA
                                             Anche a’ miei lumi
800poc’anzi egli s’offerse;
 ma ne sparì qual ombra.
 FABBRIZIO
 Io il vidi. Io il ravvisai
 tra’ reali custodi.
 SESTIA
 Qual desio? Qual pensier...
 FABBRIZIO
                                                    Siasi qual voglia,
805tutto è indegno di lui.
 SESTIA
                                          Gli favellasti?
 FABBRIZIO
 No, ma con torvo sguardo
 gli minacciai l’ire di Roma e mie.
 SESTIA
 Forse volge gran cose.
 FABBRIZIO
 Inique o perigliose.
 SESTIA
810La sua virtù...
 FABBRIZIO
                            Qui veggo
 non virtù ma furore.
 SESTIA
 L’amor...
 FABBRIZIO
                    Non più. Torni Volusio al Tebro.
 Da te n’esca il comando; e s’ei ti opponga
 o timori d’amante
815o trofei di guerriero,
 tu assicura il suo amor; ma che coltivi
 altri allori alla chioma,
 e gli dirai che basta un Muzio a Roma.
 
    Era meglio in dura sorte
820sospirar per la sua morte
 che tremar per la sua gloria.
 
    Senno regga il suo valore;
 né gli faccia o sdegno o amore
 deturpar la sua memoria.