Caio Fabbricio, Venezia, Pasquali, 1744 (Caio Fabbrizio)

 SCENA VIII
 
 PIRRO e FABBRIZIO, seguiti da alquante guardie, due delle quali recano poi due sedie
 
 PIRRO
 A sostener la guerra,
 vedi, qui ha Pirro accolti ampi tesori.
 FABBRIZIO
 I tesori de’ re sono gli amici.
 PIRRO
350Mancar possono amici, ov’è ricchezza?
 FABBRIZIO
 No, se al merito in seno ella si spande,
 che gl’indegni arricchir non è da grande.
 PIRRO
 Partite; (Le guardie si ritirano) e qui sediamci.
 L’armi, che ho mosse dall’onor costretto,
355non mi levan dal cor che i tuoi non brami
 cittadini in amici e te più ch’altri,
 per senno e per valor famoso e chiaro.
 Sdegnomi con fortuna,
 tanto a te de’ suoi beni
360ingiustamente avara. Io de’ suoi torti
 soffrir non vo’ che più t’aggravi il peso.
 FABBRIZIO
 Se pensi...
 PIRRO
                      Attendi. In mia real grandezza
 di nulla più mi pregio
 che del farne buon uso.
365Per lo più l’indigenza
 preme i migliori; e chi ha il poter di trarli
 di miseria, e nol fa, mal degli dei
 le veci adempie. Or dove
 collocar potrei meglio
370i lor doni che in te? Tuoi sien questi ori,
 tue queste gemme. Io non esigo, offrendo,
 cosa indegna in mercede.
 Contro di Pirro a Roma
 servi e al dover. Non compro la tua fede.
 FABBRIZIO
375Gran re, ch’io in lari angusti
 regga la mia famiglia e la nutrichi
 di parchi cibi in orticel raccolti,
 de’ miei sudori asperso,
 è ver. Non però senso
380di povertà mi turbò mai né questa
 mi fu inciampo al salir que’ gradi eccelsi
 che i più degni han fra noi...
 PIRRO
 Sì, ma qual lustro...
 FABBRIZIO
                                      Attendi.
 Tutto il ricco apparato,
385che al decoro convien de’ magistrati
 e de’ pubblici uffizi, alle famiglie
 non son di aggravio. Eburnee selle e fasci
 e servi e saghi e toghe e quanto è d’uopo
 Roma a noi somministra. Ella n’è madre
390comun. Nostro è il suo erario. In lei siam ricchi.
 Qual dunque a me da’ tuoi tesori e doni
 comodo e pro, quando soverchi e vani
 a me son nel privato
 e nel pubblico stato?
395Accettandogli, o re, que’ perderei
 che son veri tesori e beni miei.
 PIRRO
 Magnanimo Fabbrizio, io tal ravviso
 valor nel tuo rifiuto
 che, per esserti amico,
400già m’obblio d’esser re. Del cor di Pirro
 giustifica gli affetti
 la beltà della figlia
 e la virtù del padre.
 Chiamisi Sestia. Io l’amo.
 FABBRIZIO
405Che! Tu di Sestia amante? (Si levano)
 PIRRO
 Sì, per farla regnante.
 Sia in tua mano la pace
 e di Pirro e di Roma;
 né ravvisar si sappia in tal destino,
410se miglior fosti padre o cittadino.
 
    Dona la pace a Roma;
 rendi il riposo a un re;
 tanta non contrastar sorte alla figlia.
 
    Certa non ascoltar
415ruvida austerità
 che par virtù e non è
 se, in altrui danno e tuo, mal ti consiglia.