Caio Fabbricio, Vienna, van Ghelen, 1729

 SCENA V
 
 PIRRO, SESTIA e CINEA
 
 CINEA
1180In sì funesto amor che più ostinarti?
 PIRRO
 Non anco ei giugne a disperar. Tu parti. (Cinea parte)
 SESTIA
 (Poiché lunge è ’l mio ben, nulla si tema). (Da sé)
 PIRRO
 Sestia, ad esser ritorni
 mia prigioniera. Nol temevi e lieta
1185col tuo Volusio ti affrettavi al Tebro,
 in tuo cor numerando,
 tra i gaudi tuoi, l’onte di Pirro e l’ire.
 Ma t’ingannasti. Or qual discolpa, ingrata,
 da quella fuga avrai che t’hanno aperta
1190solo i miei benefici?
 SESTIA
 Re, lo dirò. Cotesti
 tuoi benefici mi serviano appunto
 di più cruccio e terror che i ceppi e i mali,
 onde aggravar del mio servaggio il peso
1195potevi. Io ti vedea per desir vano
 perderti ciecamente;
 e più che al proprio scampo,
 provvidi a la tua gloria.
 PIRRO
 Eh! Tanto la mia gloria
1200non t’era a cor. L’amante,
 che al tuo fianco trovai, l’amore, il rischio
 di lui t’hanno sedotta; e in fuggir seco,
 a Volusio servisti e non a Pirro.
 SESTIA
 Più che non pensi, a te servii. Già posso,
1205orché Volusio è salvo, osare e dirti
 ciò che tratto dal cor mai non mi avrebbe
 né minaccia né pena.
 La morte, a cui ti tolse
 ne la pugna il suo error, qui dal suo braccio
1210non avresti sfuggita. Io lo ritenni;
 né potendo al tuo amor render amore,
 t’usai pietà per non parerti ingrata.
 Ciò ch’ei fece in tuo pro, Pirro, il vedesti;
 ciò che ancora in tuo danno
1215ei potesse tentar, Sestia il sapea.
 Egualmente io temea
 per te, per lui. Gli consigliai la fuga.
 Ma un gran ben non gli parve uscir di rischio
 senza me. Vinse amor. Vinse pietade.
1220Se errai, caro è l’error. L’austero padre
 rea mi rende a’ tuoi ceppi;
 ma Volusio ei mi salva, in cui ragione
 non avean l’armi tue. Questo a me basta.
 Non son nel peggior fato; e mi consola
1225che, costretta a soffrir, soffrirò sola.
 PIRRO
 Sola ancora...