Caio Fabbricio, Vienna, van Ghelen, 1729

 SCENA IV
 
 SESTIA e FABBRICIO
 
 FABBRICIO
 Figlia, sì de la patria
170non m’ingombra l’amor che a te non abbia
 dato più d’un pensiero e dirò ancora
 più d’un sospir. Ma ne’ sinistri eventi
 altro è ’l sentirne la gravezza ed altro
 il soccomberne al peso.
 SESTIA
175Ove tenda il tuo dir, mostrami, o padre.
 FABBRICIO
 Troppo tu ti abbandoni
 in preda al tuo dolor. Da Pirro il seppi.
 SESTIA
 Senza te, fuor di Roma,
 vergine, in fresca etade,
180sola, in poter di re nemico... Ah! Quando
 fu più giusto dolor? Pirro i miei pianti
 disse; ma tacque i rischi;
 e le perdite mie, padre, tu sai.
 FABBRICIO
 Queste però men gravi
185sarien, dillo sincera,
 se fra lor non contassi
 Volusio...
 SESTIA
                    O dio!
 FABBRICIO
                                  Volusio,
 da me scelto in tuo sposo e de’ tuoi primi
 soavi affetti illustre oggetto, è morto.
 SESTIA
190Morto è Volusio e desolata io vivo.
 FABBRICIO
 Non si piangono, Sestia, i cittadini
 che cadon per la patria.
 I pianti che si danno
 a chi muor da roman fan torto a Roma.
195Egli a vista del nostro e del nemico
 campo uccise Megacle,
 in cui de l’armi e de le vesti adorno
 reali, ebbe credenza
 di uccider Pirro.
 SESTIA
                                 E intanto
200Pirro ancor vive e ’l mio Volusio è morto.
 FABBRICIO
 Morte degna d’invidia,
 non di dolor. Sia men di senso al danno,
 più di virtù al consiglio.
 Lunghi non saran forse i ceppi tuoi
205né mancheran dopo Volusio ancora
 sposi per te che sien per Roma eroi.
 
    A lui, ch’ami tanto,
 da’ lode e non pianto;
 né salgano a quella
210sua fulgida stella
 i lai del tuo amor.
 
    Ragion, pria che tempo,
 da te scacci affanno.
 Ristoro a gran danno
215non vien da dolor.