Mitridate, Venezia, Marciana, autografo

 SCENA PRIMA
 
 OSTANE
 
 OSTANE
 Ben fu iniquo egizio e fatal per me quel giorno,
665in cui vinto da preghi e da lusinghe
 presi in custodia chi dovea costarmi
 tanto disagio e affanno. Ah! Che men grave
 peso e fatica è aver sul capo un monte
 che in sua cura tener vaga fanciulla.
670Chi detto me l’avria? Quella che m’era
 di conforto in miseria e in servitude,
 di virtù parea specchio e d’onestade.
 Ma l’apparenza inganna; e tali sono
 le reti e i lacci, che a beltà son tesi,
675che alfin per qualche via forza è che inciampi.
 Dopo un vano cercarla, io qui men venni,
 ultima meta de’ miei lunghi errori.
 Or con qual fronte a Gordio
 mi offrirò? Qual d’Aristia
680conto gli renderò? Poc’anzi il vidi
 e ne la turba mi celai per tema
 d’esser [illeggibile] sorpreso. Aristia, oh! qual m’hai resa
 mercede! Io più che padre
 ti fui. Tu a me furtiva... Ah! Questo, questo
685de’ miei danni è ’l più greve,
 che m’hai schernito; e pur saper dovea
 che cor di figlia è mobil cosa e lieve.
 
    Vezzo, lusinga, riso
 non era
 
    Vedea modesto volto;
 sguardo vedea raccolto;
690tutto virtù parea;
 ma ’l cor, che non vedea,
 fu quel che m’ingannò.
 
    Venga beltà e si vanti
 che non conosce amore
695e che non cura amanti;
 più non mi fiderò.