Mitridate, Venezia, Marciana, autografo

 SCENA IX
 
 ARISTIA, poi FARNACE
 
 ARISTIA
 Misera me! Che intesi? Oh! Ne l’orrore
 Qual terribil procella
 vienmi adosso a cader! Ma ne l’orrore
 del mal vicino, almeno
305a tremar non avessi
 che per me sola... Ah! Caro prence! Ah! Vieni
 de’ miei affanni spasimi a parte,
 tu che ’l maggior ne sei.
 FARNACE
                                              Qual ne sovrasta
 sciagura? I pianti tuoi non dicon tutto.
 ARISTIA
310Farnace... O dio!... Farnace,
 la tua sposa è perduta.
 FARNACE
 Perduta?
 ARISTIA
                    Ecco i fatali
 preveduti momenti
 da l’amor mio. Le nozze
315di Apamea son segnate. Il re fra poco
 a chiederti per lei verrà la fede,
 fé che tra noi giurata
 non è più in tuo poter né più nel mio.
 Questo anco è poco. A la real matrigna
320son io sospetta. Oh! Se ne avessi intese
 le furie, le minacce... Ahimè! Fin dove
 non giugneria la rabbia sua gelosa,
 se cercando l’amante di Farnace
 ne trovasse la sposa?
 FARNACE
325Diletta anima mia, tanto di pena
 non darti. In tua difesa hai la mia...
 ARISTIA
 No no. Giudica meglio
 del mio timor. Non temo i mali miei
 che come tuoi perigli. Ah! Tel rammenta.
330Speme e orgoglio non fu d’esser un giorno
 sul trono tuo ciò che mi fe’ tua sposa.
 In stato umile, ignara
 de l’esser mio, che intesi
 pria miseria che vita,
335non diedi orecchio a tue lusinghe e e prieghi. Alora
 e da fervido amore e da superbo
 sedotta e vinta. Alora
 che di ferro ti vidi armato il braccio,
 risoluto a vibrarlo entro il tuo petto,
 alor cedei. Dovea salvarti. Il feci;
 né me ne pento. Oh! p Piaccia,
340piaccia agli dii, me sola
 scopo far di tant’ire, ond’io dir possa:
 «Aristia la fedele al suo Farnace,
 e vivendo e morendo,
 diede felicitade e lasciò pace».
 FARNACE
345Che parli di morir? Tu sei mia sposa. (Risoluto)
 Questo nome mi è sacro
 più che ogni altro. Oprar tutto
 per me potesti; e tutto
 per te anch’io potrò osar. Né re né padre
350v’è sopra il mio dover, sopra il mio amore.
 Tremino d’un tuo pianto (Fiero)
 le frenesie superbe
 d’una donna altrui madre. Avvezzo io sono
 e nato a comandar, non a soffrire.
 ARISTIA
355Frena, o dio! frena l’ire.
 Fremer mi fai d’orror. Quando ti accolsi Sai che sin quando
 e consorte sposo e signore ti accolsi,
 al tuo piè mi gittai; ti chiesi in dono
 l’essermi, sì, fedel; ma insieme io chiesi,
360e tu mel promettesti,
 di non porre in obblio comunque avesse che un re, che un padre
 a succeder di me, che un re, che un padre
 tu avevi in Mitridate.
 FARNACE
 E pel padre e pel re tutto promisi, (Fiero)
 nulla già pel tiranno,
365s’ei tiranno esser voglia.