Mitridate, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA X
 
 ARISTIA e i suddetti
 
 ARISTIA
                                      E Aristia mora.
 FARNACE
 Oh cieli!
 ARISTIA
                   Odimi, o re. Soffri, o Farnace.
 In quel torbido ancor d’ira funesta
 che ti offusca la fronte,
 leggo l’amor paterno. Che un tal figlio,
940figlio sempre a te caro, or ti resista,
 ti fa dolor. L’impegno
 del grado e della fede
 t’obbliga, benché padre, ad esser giusto
 e ad esser re. Degno è un fellon di morte,
945tal ti sembra Farnace;
 ma tal non è. Non sempre
 quella, che par gran colpa, è vera colpa.
 Bastava in sua discolpa
 che gli uscisse di bocca un solo accento.
950Dal labbro gliel rispinse e in cor gliel chiuse
 il timor del mio rischio. A me or conviene
 rendergli egual pietade e a Mitridate
 salvare il figlio, il successore al trono.
 Signor, tutti i suoi falli
955fatti ha il dover. Sappil, sua moglie io sono.
 FARNACE
 Ah, che dicesti!
 MITRIDATE
                               Moglie,
 moglie tu di Farnace?
 ARISTIA
                                           Io il sono; e in dirlo,
 conosci e ciò ch’io pensi e ciò ch’io voglia.
 Me viva, altra consorte
960si divieta al tuo figlio.
 Quella che devi a lui, succeda in voto
 talamo, ma pudico,
 a chi se dal natal non ebbe il merto,
 da virtù forse l’ebbe.
965Io torno in Eraclea. Sia in tuo potere (Si accosta a Mitridate)
 il destino di Aristia.
 Tu al mio sposo perdona. Addio Farnace.
 Addio. Al padre ubbidisci.
 Di Aristia ti sovvenga e datti pace. (Parte e in lontano s’incontra con Apamea, con cui si ferma alquanto a discorrere)