Mitridate, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VII
 
 ARISTIA e GORDIO
 
 GORDIO
 Bella Aristia, sinora
 tacque il mio affetto. Ardire
 prend’egli omai da un regal labbro. Io t’amo;
605e dal primo tuo sguardo,
 che mi scese nel sen, presi ad amarti.
 ARISTIA
 Segui. D’udir mi piace
 un sì illustre trionfo
 che malgrado del cor fatto han questi occhi.
 GORDIO
610Soffrire in altro tempo
 potea con men di pena il fier rifiuto
 che già ti leggo in fronte. Or che congiunto
 andar può col mio danno il tuo periglio,
 più me ne attristo e fremo. Amor ti chieggo
615non per dolor che di me stesso io senta
 ma per pietà che del tuo mal mi punge.
 ARISTIA
 Quanto mai debbo a sì pietoso amante!
 Ben ingrata sarei, se di conforto
 nol degnassi in mercede.
620Sappi che sì mi piace il mal, che soffro,
 che il rimedio ne fuggo.
 Volendomi felice,
 misera mi faresti. Or tu, che hai tanta
 pietà del mio dolore,
625ama il rifiuto mio, più che il mio amore.
 GORDIO
 Ricusarmi non basta;
 che mi deridi ancor?
 ARISTIA
                                         Gordio, vil serva,
 io deriderti? Io teco
 tanto oserei? Tu fede...
630ricchezza... dignità... favor... tu hai tutto.
 È ver... Ma... che far vuoi?
 L’amor solo di Aristia aver non puoi.
 
    L’augellin posa in quel ramo;
 beve il cervo a quel ruscello;
635e ogni cor sol per quel bello,
 che a lui piace, arde d’amore.
 
    Se da forza o da comando
 si destasse in noi l’affetto,
 non sarebbe più diletto
640ma tirannide e dolore.