Mitridate, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA IX
 
 ARISTIA, poi FARNACE
 
 ARISTIA
305Misera me! Che intesi? Oh, nell’orrore
 del mal vicino, almeno
 a tremar non avessi
 che per me sola... Ah, caro prence! Ah, vieni
 de’ miei spasimi a parte,
310tu che il maggior ne sei.
 FARNACE
                                              Qual ne sovrasta
 sciagura? I pianti tuoi non dicon tutto.
 ARISTIA
 Farnace... O dio!... Farnace,
 la tua sposa è perduta.
 FARNACE
 Perduta?
 ARISTIA
                    Ecco i fatali
315preveduti momenti
 dall’amor mio. Le nozze
 di Apamea son segnate. Il re fra poco
 a chiederti per lei verrà la fede,
 fé che tra noi giurata
320non è più in tuo poter né più nel mio.
 Questo anco è poco. Alla real matrigna
 son io sospetta. Oh, se ne avessi intese
 le furie, le minacce... Oimè! Fin dove
 non giungeria la rabbia sua gelosa,
325se cercando l’amante di Farnace
 ne trovasse la sposa?
 FARNACE
 Diletta anima mia, tanto di pena
 non darti. In tua difesa...
 ARISTIA
 No no. Giudica meglio
330del mio timor. Non temo i mali miei
 che come tuoi perigli. Ah, tel rammenta.
 Speme e orgoglio non fu d’esser un giorno
 sul trono tuo che mi fe’ tua sposa.
 In stato umile, ignara
335dell’esser mio, che intesi
 pria miseria che vita,
 non diedi orecchio a tue lusinghe. Allora
 che di ferro ti vidi armato il braccio,
 risoluto a vibrarlo entro il tuo petto,
340allor cedei. Dovea salvarti. Il feci;
 né me ne pento. Piaccia,
 piaccia agli dii, me sola
 scopo far di tant’ire: ond’io dir possa:
 «Aristia la fedele, al suo Farnace,
345e vivendo e morendo,
 diede felicitade e lasciò pace».
 FARNACE
 Che parli di morir? Tu sei mia sposa. (Risoluto)
 Questo nome mi è sacro
 più che ogni altro. Oprar tutto
350per me potesti; e tutto
 per te anch’io potrò osar. Né re né padre
 v’è sopra il mio dover, sopra il mio amore.
 Tremino di un tuo pianto (Fiero)
 le frenesie superbe
355d’una donna altrui madre. Avvezzo io sono
 e nato a comandar, non a soffrire.
 ARISTIA
 Frena, oh dio, frena l’ire.
 Fremer mi fai d’orror. Sai che sin quando
 sposo e signor ti accolsi,
360al tuo piè mi gettai; ti chiesi in dono
 l’essermi, sì, fedel; ma insieme io chiesi,
 e tu mel promettesti,
 di non porre in obblio che un re, che un padre
 tu avevi in Mitridate.
 FARNACE
365E pel padre e pel re tutto promisi, (Fiero)
 nulla già pel tiranno,
 s’ei tiranno esser voglia.