Mitridate, Vienna, van Ghelen, 1728

 SCENA VI
 
 APAMEA e DORILAO
 
 DORILAO
 Fermati; e almen di qualche atto cortese
 degna l’opra fedel di servo amante.
 APAMEA
 Oh! Se nel duro stato, in cui mi trovo,
790tempo avessi a sgridar chi mal mi serve,
 di premio invece avresti pena.
 DORILAO
                                                          L’arte
 è questa degl’ingrati,
 mostrar che sieno offese i benefici,
 per negar la mercede.
 APAMEA
795Che facesti in mio pro?
 DORILAO
                                             Salvo è Farnace.
 Dorilao ti ubbidì. Diedi a sua fuga
 e la mano e ’l consiglio.
 APAMEA
 Ch’ei sol fuggisse d’Eraclea, bastava.
 DORILAO
 Tanto ti duol che Aristia
800sia di Farnace al fianco?
 APAMEA
 Duolmi che il padre a sé rubel lo creda.
 DORILAO
 Non t’infinger. Tu l’ami... Eh! Ch’io vaneggio.
 Il tuo solo è dispetto,
 non gelosia.
 APAMEA
                         Di’, segui.
 DORILAO
805Mostri d’amar Farnace
 per timor de la madre...
 APAMEA
                                              E dolor mostro
 di vedermi sprezzata. E ch’altro dissi?
 DORILAO
 Mi sovvien del comando; e l’ho ubbidito.
 Né qui sto a ricercar se nel tuo core
810ciò che ’l diè fu virtù, pietà...
 APAMEA
                                                      Fu amore;
 e amor mi chiama al campo;
 e tu devi soffrirlo e là guidarmi.
 DORILAO
 Colà tra i rischi e l’armi?
 APAMEA
 Colà dov’è Farnace,
815mio tesoro, mio amor, mio ben, mia pace.
 
    M’intendesti? Che vuoi far?
 Ubbidir per meritar.
 Al mio amore
 sii fedele. E poi chi sa?
 
820   Al destino del tuo core
 resta almen qualche speranza.
 Solo il mio sperar non sa.