Mitridate, Vienna, van Ghelen, 1728

 SCENA VII
 
 ARISTIA e GORDIO
 
 GORDIO
600Bella Aristia, sinora
 tacque il mio affetto. Ardire
 prende egli omai da un regal labbro. Io t’amo;
 e dal primo tuo sguardo,
 che mi scese nel sen, presi ad amarti.
 ARISTIA
605Segui. D’udir mi piace
 un sì illustre trionfo
 che malgrado del cor fatto han quest’occhi.
 GORDIO
 Soffrire in altro tempo
 potea con men di pena il fier rifiuto
610che già ti leggo in fronte. Or che congiunto
 andar può col mio danno il tuo periglio,
 più me ne attristo e fremo. Amor ti chieggo,
 non per dolor che di me stesso io senta
 ma per pietà che del tuo mal mi punge.
 ARISTIA
615Quanto mai debbo a sì pietoso amante!
 Ben ingrata sarei, se di conforto
 nol degnassi in mercede.
 Sappi che sì mi piace il mal che soffro
 che il rimedio ne fuggo.
620Volendomi felice,
 misera mi faresti. Or tu, che hai tanta
 pietà del mio dolore,
 ama il rifiuto mio, più che ’l mio amore.
 GORDIO
 Ricusarmi non basta,
625che mi deridi ancor?
 ARISTIA
                                         Gordio, vil serva,
 io deriderti? Io teco
 tanto oserei? Tu fede...
 ricchezza... dignità... favor... tu hai tutto.
 È ver... Ma... Che far vuoi,
630l’amor solo di Aristia aver non puoi.
 
    L’augellin posa in quel ramo.
 Beve il cervo a quel ruscello
 e ogni cor sol per quel bello,
 che a lui piace, arde d’amore.
 
635   Se da forza o da comando
 si destasse in noi l’affetto,
 non sarebbe più diletto
 ma tirannide e dolore.