Imeneo, Vienna, van Ghelen, 1727

 SCENA XI
 
 IMENEO e poi ERASTO con pastori
 
 IMENEO
 Dei, secondate il mio pietoso inganno.
 ERASTO
1100Tentisi, amici, un disperato sforzo.
 IMENEO
 Contra tanti guerrieri,
 che potran pochi inermi? Osserva, Erasto.
 Vedi là come ingordi
 vuotano quelle tazze.
 ERASTO
1105A noi qual pro?
 IMENEO
                               Sparso sta in esse il suco
 letal che a me porgesti.
 ERASTO
 Che narri?
 IMENEO
                       In quel momento
 ch’io la man vi stendea, sento armi e grida.
 Mi fermo. Entrano i Traci. Ascondo il tosco
1110sotto le vesti. Destramente il verso
 negli aurei vasi. Indi il presento agli empi.
 Mi si fa plauso. Or tracannar li vedi
 la morte mia. Da lunge
 li seguo, con certezza
1115di tosto racquistar prigioni e spoglie.
 Poi sia di me ciò che han disposto i fati.
 ERASTO
 O fati avversi! O d’opra ben tentata
 mal deluse speranze!
 IMENEO
 Perché?
 ERASTO
                  Quel ch’io ti porsi
1120velen non fu ma suco a indur possente
 morte no, ma letargo,
 tale però che chi ne gusta, oppresso
 tosto n’è sì che, se fresch’onda in viso
 non gli si spruzza, ridestar non puossi
1125per molto.
 IMENEO
                      Non turbarti.
 Uom nel sonno sopito è quasi estinto.
 Per torne ogni sospetto andrò su l’orme
 lor da lontan; né tua pietà fia vana. (Parte)
 ERASTO
 In sì vil pastorel sì nobil core?
1130Chi a sì grand’opre il può destar? Chi? Amore.
 
    Tu, amor, sei che fai gentili
 l’alme vili, se la face
 tua vivace accendi in loro.
 
    Così il sol purga ed affina
1135rozze glebe in balza alpina,
 quale in gemma e quale in oro.