Don Chisciotte in corte della duchessa (Pasquini), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VIII
 
 SANCIO e le suddette
 
 SANCIO
 Signora, eccomi qua.
 LA DUCHESSA
                                         Vieni, che teco
 ho ben che favellar.
 SANCIO
                                      Come volete.
 Se quell’orso gigante
670dà una scappata all’isola vacante,
 caro governo ce ne andiamo in fumo.
 LA DUCHESSA
 Siedi.
 SANCIO
               Eh via, non facciamo cerimonie.
 ALTISIDORA
 Ubbidisci.
 SANCIO
                       Ubbidisco. Si suol dire (Si pongono a sedere)
 che povertà non guasta gentilezza.
 LA DUCHESSA
675Or che siamo qui soli e niun ci sente,
 voglio che il mio signor governatore
 vari dubbi mi sciolga.
 SANCIO
                                           Volentieri.
 LA DUCHESSA
 La storia, che va attorno
 del signor don Chisciotte,
680dice che Sancio non ha mai veduta
 la bella Dulcinea.
 SANCIO
                                  Ma come c’entra
 questa storia a sapere i fatti altrui?
 ALTISIDORA
 Anzi dice di più che un certo foglio,
 ch’ebbe in Sierra Morena dal padrone
685per consegnarsi a lei,
 Sancio non lo portò, perché rimase
 nel libro di memorie.
 SANCIO
                                          Andiamo avanti.
 LA DUCHESSA
 Or come adunque egli ebbe tanto ardire
 di finger la risposta,
690ingannando il padrone, e menzognero
 tradir la fedeltà di buon scudiero?
 SANCIO
 Pazienza, adesso, adesso. (Osserva attorno la sala se alcuno l’ascolta)
 Giacché siamo sicuri,
 risponderò con libertà; si dice:
695«Chi l’ha fatta si guardi; e buona cura
 caccia la ria ventura,
 che un disordin che nasca ne fa cento».
 Sappiate adunque in primo et antimonio
 ch’io penso, e penso il vero,
700che il signor don Chisciotte, mio padrone,
 sebben talvolta dice
 dimolte cose buone,
 tanto abbia il poverello
 spedito per le poste il suo cervello.
 ALTISIDORA
705E di quel che lo serve cosa pensi?
 SANCIO
 Di grazia non saltiam di palo in frasca.
 Stabilito che sia matto spacciato,
 io gli fo creder cose
 che in sé stesse non han capo né coda,
710perché saran sei giorni,
 e questa cosa non la sa la storia,
 ch’io gli feci pigliar per Dulcinea
 una villana che incontrai per via;
 ed egli se la bevve e la credette
715convertita in villana per magia.
 LA DUCHESSA
 Per quel che tu m’hai detto,
 un scrupulo or mi vien. Se don Chisciotte
 privo è di senno e Sancio lo conosce
 e nonostante ancor lo serve e il segue,
720senza dubbio di lui sarà più matto;
 e mal farebbe il mio signore adesso,
 se l’isola ti dasse a governare,
 quando non sai ben governar te stesso.
 SANCIO
 Perdinci, che lo scrupolo è venuto
725con parto dritto e qui non v’è risposta.
 Seguendo il mio padrone,
 son più matto di lui, questo è verissimo;
 ma non saprei, non posso far di meno.
 Gli voglio troppo bene;
730siam d’un paese istesso,
 ho mangiato il suo pane,
 mi ha dato tre polledri; mi capite?
 Son tutte cose... Vo’ dir io che il miele
 si fa giusto leccar, perché l’è dolce.
735Circa il governo poi me ne rimetto;
 e se ben son balordo,
 io so che per suo male
 alla formica vil nacquero l’ale.
 LA DUCHESSA
 No, non temer, che il duca
740la promessa terrà; ma per tornare
 al discorso primier, son ben sicura
 che quel che si credeva ingannatore
 nell’inganno restò.
 SANCIO
                                     Ma come a dire?
 LA DUCHESSA
 Quella bifolca, che pigliar facesti
745al tuo caro signor per Dulcinea,
 era ella stessa; e per maligno incanto
 ancor tu la vedesti
 orrida in volto e in così rozzo ammanto.
 SANCIO
 Oh diavol maledetto! Oh questa è bella!
750Mi fai trasecolar.
 ALTISIDORA
                                  La cosa è certa.
 SANCIO
 Io lo credo d’avanzo. Questi maghi
 sanno far di gran cose; e pur da prima
 non ci credevo troppo, perché intende... (Comincia a pigliar sonno)
 Ma come l’hai saputo?
 ALTISIDORA
755Lo stesso incantatore, or son due giorni,
 capitò nel castello e un pieno conto
 ci diè di tua follia.
 Ma non dormir.
 SANCIO
                                Sì... Eh?... Dite, v’ascolto.