Don Chisciotte in corte della duchessa (Pasquini), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VI
 
 SANCIO, GRULLO e i suddetti
 
 GRULLO
 Signor, la mensa è pronta. (Al duca)
 IL DUCA
                                                   Al grand’eroe
520si porga da lavar. (Le damigelle porgono da lavar a don Chisciotte)
 SANCIO
                                   Vosignoria
 si stropicci ben ben, signor padrone;
 le sue mani saranno quattro mesi
 che l’acqua non san dir che cosa sia.
 DON CHISCIOTTE
 Sancio, m’ascolta. Avverti (Nel tempo stesso si lava e si asciutta le mani)
525senno e prudenza. Lo scudiero sciocco
 fa più sciocco il padron. Basta, m’intendi.
 Senno e poco parlar, Sancio da bene.
 Non infilzar proverbi, (Il duca, la duchessa e Altisidora si accostano a tavola)
 che per dire una cosa competente
530ne dichi cento poi delle scipite.
 Sancio, senno e prudenza tieni a mente.
 GRULLO
 Si aspetta sol vosignoria.
 DON CHISCIOTTE
                                                Son pronto. (Corre precipitosamente a tavola)
 IL DUCA
 Siedi, siedi, signor. Quello è il tuo loco.
 DON CHISCIOTTE
 A te piace così, saria delitto (Seggono tutti unitamente)
535se mi volessi oppor.
 SANCIO
                                       Signor padrone,
 mi dica un poco; gli scudieri erranti
 hanno loco distinto per mangiare
 o pure in comunanza
 stanno a mangiar con tutta l’altra gente?
 DON CHISCIOTTE
540Sancio, senno e prudenza tieni a mente.
 LA DUCHESSA
 Quanto sarà felice
 il nostro Sancio, allora
 che il signor don Chisciotte
 averà conquistato un qualche regno.
 SANCIO
545Già m’ha promessa un’isola
 da governare a mia disposizione.
 IL DUCA
 Del tuo signore il merto
 or vedi quanto è raro;
 d’un’isola vacante che mi trovo,
550a sua contemplazione,
 governatore adesso ti dichiaro.
 DON CHISCIOTTE
 Mettiti, Sancio, inginocchion davanti
 al signor duca; e per sì gran favore
 baciagli i piè. Parla aggiustato, intendi?
555Pensa che infin tu sei governatore.
 SANCIO
 Signor, dice il proverbio (Sancio bacia i piedi al duca)
 che ha bene chi fa ben. Parlo in tal forma
 per non dir troppo e mal.
 DON CHISCIOTTE
                                                 Bravo.
 ALTISIDORA
                                                                Frattanto
 il nostro buon governator novello
560al pranzo potrà gir.
 LA DUCHESSA
                                      Vada e ben tosto
 sollecito ritorni.
 SANCIO
                                In due bocconi
 spedisco la faccenda. Con licenza.
 DON CHISCIOTTE
 Sancio governator, senno e prudenza. (Sancio e Grullo si partono)
 IL DUCA
 Inver che un sì bel giorno
565con pietra bianca può segnarsi.
 ALTISIDORA
                                                           Oh quanto
 sarebbe più felice e più sereno,
 se Dulcinea, la bella,
 fosse presente ancor.
 DON CHISCIOTTE
                                         S’ella vi fosse,
 per me renunzierei
570l’ambrosia a Giove e il nettare agli dei.
 LA DUCHESSA
 Signor, di sua bellezza adombra in parte
 qualche più facil tratto.
 DON CHISCIOTTE
                                             A tanta impresa
 bastevol non son io.
 LA DUCHESSA
                                       Pur non dispero
 che un dì veder la possa.
 IL DUCA
575Non bramar ciò, ben mio, ti pentiresti
 del troppo alto desire; e per vergogna
 al comparir di lei ti asconderesti.
 
    Vedesti mai le stelle
 fuggirsi vergognose,
580allor che gigli e rose
 s’intesse al crin l’aurora
 e il novo dì colora
 nello spuntar che fa?
 
    Tal quando in fra le belle
585comparirà quel volto
 che i raggi al sole ha tolto,
 ciascuna per vergogna
 tosto s’asconderà.
 
 ALTISIDORA
 Ma dimmi, cavalier, quando mandasti
590Sancio con un tuo foglio al tuo bel nume,
 m’è noto pur che tal beltà non vide?
 DON CHISCIOTTE
 Ma tu però non sai
 l’opra maligna de’ crudeli incanti.
 Anch’io son giorni che la vidi e pure
595tanto diversa la trovai che orrore
 or mi fa tra me stesso il rammentarlo.
 ALTISIDORA
 Come?
 DON CHISCIOTTE
                 Frestone incantator vigliacco,
 mio più crudel nimico,
 invidioso, la sua faccia bella
600in orribil cambiò. Le trecce bionde,
 ch’erano fila d’oro,
 son corde da chitarra. Il grato odore
 che traspirava dal suo piè leggiero,
 cinto di bel coturno,
605e l’aure gareggianti
 lo raccogliean su l’ali
 per confortare i cavalieri erranti
 svenuti per amore,
 or s’è fatta una cosa sì fetente
610da far proprio venire un accidente.
 Non vi dirò delle regali spoglie
 di stelle trapuntate in campo azzurro,
 in bel gruppo raccolte al molle fianco
 davanti e sciolte maestose a tergo,
615ch’or son ridotte ad uso
 di vesti d’una succida villana,
 perché in asina nera convertita
 vidi perfino la sua bianca alfana.