Don Chisciotte in corte della duchessa (Pasquini), Vienna, van Ghelen, 1727

 SCENA V
 
 IL DUCA, LA DUCHESSA, LAURINDO e SANCIO
 
 IL DUCA
 Raffrena il pianto; agevol cosa parmi
 tuo danno riparar.
 SANCIO
                                     Cento somari
 non vagliono il mio Ruccio. Poverino.
 LA DUCHESSA
1940Ma col dolerti nol ritorni in vita.
 SANCIO
 Signora, dite bene;
 ma il sangue non è acqua;
 non posso far di meno,
 è un colpo troppo grande.
 LAURINDO
1945Povero Sancio mio, ti compatisco.
 SANCIO
 Che bestia di giudizio! M’intendeva
 ch’era proprio una cosa da stordire;
 e quando gli mettevo la cavezza,
 volendomi mostrare il suo buon core,
1950cominciava a ragliar per tenerezza.
 IL DUCA
 Consolati, al governo
 ne troverai più d’un.
 SANCIO
                                         Se l’ho da dire,
 ho pensato ben bene all’accidente
 che m’è successo; e con sì tristo augurio
1955non voglio governar. Quel che t’avviene
 sempre per meglio tiene,
 perché dice il proverbio che alle volte
 pensiam comprar la vigna
 e si compra con essa o lite o tigna.
 IL DUCA
1960No, non temer, sicuro
 sarai da nuovi insulti.
 LA DUCHESSA
                                           Il mio signore
 scortar ben ti farà.
 LAURINDO
                                     Sarebbe un danno
 del popol che giammai
 più buon governator sortir potea.
 SANCIO
1965Tal sembra in vista agnel che dentro è lupo;
 sarà meglio per loro,
 che un uom cattivo, se buono è tenuto,
 può far del mal che poi non gli è creduto.
 LA DUCHESSA
 Signor, costui ben spesso
1970con questi motti suoi parla da saggio.
 Sotto la spoglia di pietà mentita
 si nasconde talvolta un cor malvaggio
 che tal giammai si crede, ond’è che, intento
 ad ammassar delitti,
1975termina un male col pensier di cento.
 
    Col rostro ancor vermiglio
 dell’innocente preda
 ch’ha sull’adunco artiglio,
 così fa spesso infido lo sparviero.
 
1980   E mentre volge altrove
 a un tempo e volo e ciglio,
 sulle sparse colombe ha il suo pensiero.