Don Chisciotte in corte della duchessa (Pasquini), Vienna, van Ghelen, 1727

 SCENA III
 
 SANCIO, GRULLO e detti
 
 GRULLO
65Questo signor scudiero (Al duca)
 or ti darà buon conto
 dell’altro cavaliero.
 SANCIO
 La duchessa qual è? (A Grullo)
 GRULLO
                                        Questa; e quest’altro
 è il signor duca.
 SANCIO
                                Bene.
70Di lui non n’ho che far. (S’inginocchia alla duchessa) Signora mia...
 (Sancio pian pian, signora mia l’è poco.
 Signora mia, padrona obligatissima.
 Così va ben). Padrona obligatissima,
 s’io non le dico che son Sancio Panza,
75già lei non lo saprà. Perché lo sappia
 adunque glielo dico.
 Ma parliamo più liscio e naturale;
 io son suo buono amico
 a cavallo ed a piè, come comanda,
80e la ragion... Parentesi, signora, (Si alza)
 sia detto qui fra noi con confidenza,
 questa mi pare un po’ d’impertinenza.
 LA DUCHESSA
 Cosa t’avvien?
 SANCIO
                              Costei
 mi par che si diletti di burlare,
85perché, mentre ti faccio l’ambasciata,
 ride sotto cappotto a tutt’andare.
 LA DUCHESSA
 Olà, s’usi rispetto
 al signor Sancio ambasciador scudiero.
 ALTISIDORA
 Io di lui non ridea.
 SANCIO
90Così appunto hai da dir; ma i miei gattucci,
 sorella, è un pezzo ch’hanno aperto gl’occhi;
 né s’ha da mangiar cavolo con ciechi.
 DON ALVARO
 Or siegui tua ambasciata.
 SANCIO
 Chi ha fretta se ne vada;
95la seguirò se mi parrà, m’intendi?
 E se mi rompi niente gli stivali
 starò qui senza dire una parola.
 LA DUCHESSA
 Si lasci in libertà.
 IL DUCA
                                   Parla a tuo senno.
 SANCIO
 Ma dove son restato?
 LA DUCHESSA
100M’hai detto il nome tuo.
 SANCIO
                                               Sì, l’è verissimo.
 Adunque io son quel Sancio
 ambasciador scudiero,
 mandato dall’errante cavaliero
 che prima si chiamava
105il cavalier della figura trista
 ed or si chiama quello de’ leoni,
 però che tutti i cavalieri erranti,
 secondo che si dice,
 si mutano più nomi che camicie.
 LA DUCHESSA
110Tu sei molto gentil.
 SANCIO
                                      Me l’hanno detto
 altre duchesse ancor. Voglio dir io
 che questo mio padron...
 DON ALVARO
                                                Come si chiama?
 SANCIO
 Si chiama don Chisciotte,
 più conosciuto assai della malerba.
 IL DUCA
115Egli è guerrier famoso?
 SANCIO
                                              Sì signore,
 è quel ch’ha combattuto
 col capo general de’ galeotti,
 Gines di Passamonte,
 quel diavol che lavora di sassate
120meglio d’un romanesco,
 quello che dopo mi rubbò il mio Ruccio.
 DON ALVARO
 Cos’è questo tuo Ruccio?
 SANCIO
 Un asino, signore, per servirla.
 Or passando dall’asino al padrone,
125ha fatto di gran cose.
 Un giorno si trovò con mezz’orecchio
 che un certo manigoldo biscaglino
 glielo divise insieme
 con quell’elmo incantato di Mambrino.
 ALTISIDORA
130Insomma il tuo signor che cosa vuole?
 SANCIO
 Che abbiate più creanza
 e non interrompiate Sancio Panza.
 LA DUCHESSA
 Lasciatelo pur dir, ch’egli ha ragione.
 SANCIO
 Suol dirsi: «Chi ha ragion, Giove l’ammazzi»;
135io tengo mille torti.
 Tra la briglia e lo sprone
 consiste la ragione. Or come dico, (S’inginocchia di novo)
 don Chisciotte per me ti fa sapere
 che, se la tua grandezza gliel consente,
140si vuol incomodare
 per baciarti la mano; e t’assicuro
 ch’egli ti fa un favor particolare.
 LA DUCHESSA
 Inver, Sancio galante, hai bene esposta
 tua nobile ambasciata; alzati ormai,
145che non conviene a uno scudier sì degno
 stare in atto sì umile.
 IL DUCA
                                          Alzati, amico, (Sancio s’alza)
 e torna al tuo signor. Digli che questo
 luogo non è dov’io ricever possa,
 colla duchessa mia, cotanto onore
150da un uom del merto suo. Di’ che l’attendo
 nel castello vicino e che a sua voglia
 potrà disporre in esso
 di chi serve e comanda a un tempo istesso.
 SANCIO
 Gli dirò tutto fino ad un finocchio;
155ma questo brutto nome di castello
 mi dà un po’ di fastidio,
 per via della coperta
 che in un altro castello mi fu data;
 ed in quella faccenda mi convenne
160volare in aria, senz’aver le penne.
 
    Quando avvien che mi rammenti
 di quel giuoco maledetto,
 perdo tutti i sentimenti,
 mi si gela il cor nel petto
165e mi par fin di sentire
 quelle scosse e non so dire
 se sia dubbio o verità.
 
    Or se mai per mio flagello
 tal di questi copertari
170ti ritrovi nel castello,
 signor duca, patti chiari;
 o il furfante se ne vada
 o che Sancio, per la strada
 donde venne, tornerà.