I due dittatori, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA XI
 
 FABIO MASSIMO, OSIDIO e MINUZIO
 
 OSIDIO
 Scrive al Senato. (In lontananza a Fabio Massimo)
 FABIO MASSIMO
                                  Il primo (In disparte ad Osidio)
1100foglio suo non è quello, ove de’ Fabi
 egli laceri il nome e l’opre accusi.
 OSIDIO
 Vedi, o signor... (Avanzando verso Minuzio)
 MINUZIO
                                 Qui a me il gran Fabio? (Lascia di scrivere e gli va incontro)
 FABIO MASSIMO
                                                                              Il padre
 viene, o Minuzio, al giudice del figlio. (Osidio si ritira in disparte)
 MINUZIO
 Duolmene la cagion, duolmi il reo caso;
1105e duolmi che al riparo
 mi sia tolto il poter dall’altrui colpa.
 FABIO MASSIMO
 Colpa da un dittator già condannata
 non dà luogo a perdono. Io qui non venni
 tratto da vana speme a pro d’un figlio.
1110Ben da lui tu cominci
 ad esiger terror con una legge,
 da te allor promulgata
 che a me ubbidivi e dittator non eri,
 e legge tal che fa più ingiuria a Roma
1115che macchia al delinquente.
 MINUZIO
                                                     Amor di padre
 ti acceca sì che non conosci il peso
 del grave error. Disubbidire al duce,
 deluderne i decreti,
 più dì nel roman campo un fier nimico
1120assicurar, salvarlo
 non è delitto?
 FABIO MASSIMO
                            Fabio, che il commise, (Minuzio scrive)
 reo più che i Giuni e più che i Manli...
 MINUZIO
                                                                       In Manlio (Rivolgendosi con un poco d’impeto)
 protetto era il trascorso, al par del mio,
 da un valor fortunato; e pur non valse.
 FABIO MASSIMO
1125Dall’esempio di voi trarsi a ruina (Minuzio torna a scrivere)
 potea la disciplina; ma da un atto
 di pietà generosa
 qual periglio per Roma?
 MINUZIO
 A gran ragion, tra l’arse case e ville, (Rivolgendosi più adagio)
1130quelle de’ Fabi Annibale rispetta.
 Alla loro pietà si dee compenso.
 FABIO MASSIMO
 Diceria non mi morde...
 MINUZIO
                                               Io già al Senato,
 e tuo giudice e mio, scrissi in quel foglio
 la legge offesa, il salvo Erminio e quanto
1135sia di ragion che il trasgressor ne mora.
 FABIO MASSIMO
 E dopo tutto, ponvi Ersilia ancora;
 lei sì che, più di Erminio e dell’editto,
 fa di Fabio la pena e fa il delitto.
 Ciò ancor sappia il Senato;
1140né Minuzio l’obblii. Tu questo forse
 rimprovero da me non attendevi,
 lusingandoti d’altro in tua fortuna.
 Ma che la dittatura
 anche per me avvilisca? Eh, ch’oggi assai
1145d’onta ella n’ebbe; e dittator, tu il sai.
 
    Nell’alma fremerà
 pietà di genitor.
 
    Ma non si avvilirà
 gloria di dittator.