I due dittatori, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VIII
 
 VALERIO e ARISBE
 
 VALERIO
560S’ei rival non mi fosse, andrian già sparsi
 di amaro i miei contenti.
 ARISBE
 D’acuta vista è gelosia.
 VALERIO
                                            Vorresti
 ch’io credessi al rival, più che ad Arisbe?
 ARISBE
 Ma la punica fede è ognor sospetta.
 VALERIO
565In anima gentil non entra inganno.
 ARISBE
 D’Asdrubale son figlia e in odio ho Roma.
 VALERIO
 O diverso dal cor parlò il tuo labbro
 o nell’odio comun me non confondi.
 ARISBE
 Forse torna in mio pro ch’io ti lusinghi.
 VALERIO
570Durerà con l’inganno il mio piacere;
 e godrò poi del tuo col disinganno.
 ARISBE
 Non ti credea sì generoso; e sento
 che si avanzano in me que’ primi impulsi
 del genio. Un cor, che tanto
575si fida in me, più non saprei tradire.
 Mi sarai caro; e per amarti appieno
 di vincer studierò le ripugnanze
 della patria e del sangue.
 VALERIO
 M’ami, se il vuoi. L’amore
580col desio facilmente s’accompagna.
 ARISBE
 Restami un sol timore.
 VALERIO
                                            E qual?
 ARISBE
                                                             Vedermi
 spoglia ancora indecisa.
 VALERIO
 Nell’amistà del dittator confido;
 e mi assiste ragion.
 ARISBE
                                      Se il dittatore
585t’è ingiusto, hai spada al fianco e ardir nel core.
 VALERIO
 
    So che esser suole scaltro e bugiardo,
 di chi è più bella, cor, labbro e sguardo;
 ma non so credere
 in sì alma nobile sì vil pensier.
 
590   E quando ancora fosse in te inganno,
 voglio più tosto soffrirne il danno
 che farti ingiuria col mio temer.