I due dittatori, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA IV
 
 VELIA, ARISBE con seguito d’altre schiave e suddetti
 
 VELIA
95Non tutto uscì ’l comando
 della tua crudeltà. Son figlie e spose,
 o s’altro vuoi, de’ miseri numidi,
 queste che al piè ti scorgi, o fier romano.
 Pari col sangue esse han la colpa e pari
100abbiano ancor la sorte.
 Né me esenti al furor della tua legge
 l’esser d’itala stirpe. Ho i ceppi stessi;
 ho il lor sesso; ho il lor odio; e se più chiedi,
 ho, tutto mio delitto,
105una giusta pietà per gl’infelici.
 MINUZIO
 Che magnanimo brio!
 QUINTO FABIO
                                           Che core invitto!
 ARISBE
 Duce, costei, che udisti
 favellarti sì ardita e generosa,
 mossa è da sua virtù. Né di Cartago
110né di Roma il destin l’ange o la preme.
 Ma se conoscer vuoi dove tu possa
 infierir con ragion, conosci Arisbe.
 OSIDIO
 (Nota purtroppo è a questo cor).
 ARISBE
                                                             Mi è patria
 Cartago; il grande Asdrubale mi è padre;
115e benché l’esser donna a me non lasci
 trattar ferro letal, posso lusinghe,
 sguardi, vezzi e cent’arti usar d’amore,
 perché nel roman campo
 entrino gelosie, discordie e risse;
120e lo farò; me ne lusingo. Il male
 previeni. Il genio appaga; un cenno adempi
 che noi ponga tra i forti e te fra gli empi.
 MINUZIO
 Le nostre ire non sono
 d’indole sì spietata
125che si stendano in voi, belle nimiche.
 Osidio, è vaga Arisbe; occhio ha vivace. (Ad Osidio in disparte)
 OSIDIO
 (Ahi, qual rival!)
 MINUZIO
                                  Ma un certo esce dall’altra (Piano ad Osidio)
 lume gentil...
 OSIDIO
                           Che già t’incende e sface. (Piano a Minuzio)
 QUINTO FABIO
 Cupido ei fissa in te lo sguardo. Ersilia, (Piano a Velia)
130temo di tua beltà l’usate prove.
 VELIA
 Il tuo acquisto difendi e non soffrire (Piano a Quinto Fabio)
 ch’io di peggior catena abbia a dolermi.
 OSIDIO
 Sarà un tanto amator gloria di lei;
 ma in Arisbe, mia spoglia,
135non abbia altri ragion.
 ARISBE
                                            Comun l’ha teco
 Valerio ancor. Torni da Roma anch’egli;
 e in faccia a lui del tuo trofeo sostieni
 i titoli, o tribuno.
 Né creder già che in sua difesa io parli
140spinta da facil genio. Odio egualmente
 e Valerio ed Osidio e quanto è Roma.
 Ma pur deggio esser giusta; e tu, Minuzio,
 giudica senza affetto e fuor d’inganno.
 Ma in qualunque tu scelga, avrò un nimico;
145e in qualunque mi ottenga, avrò un tiranno.
 OSIDIO
 Dunque eterne in quel cor l’ire saranno?
 ARISBE
 
    Non ti lagnar. Sincero
 l’odio ti parla almeno.
 Se al labbro lusinghiero
150chiedi speranze e vezzi,
 vezzi e speranze avrai
 quante vorrai da me.
 
    Scegliti i finti affetti
 o i liberi disprezzi;
155nell’odio o nell’inganno
 mi riderò di te.