I due dittatori, Vienna, van Ghelen, 1726

 SCENA VII
 
 MINUCIO e poi ARISBE
 
 MINUCIO
 Scotiti dal letargo, in cui t’han posta
 e sorpresa e dispetto,
 e svegliati a vendetta, alma feroce.
 ARISBE
 Come ubbidite son! come temute
860di Minucio le leggi! Oh! Se a Cartago
 torno, quai ridirò de la romana
 militar disciplina illustri esempi!
 MINUCIO
 Di che ne accusa Arisbe?
 ARISBE
 Non cadder tutti, e ben ne godo, a l’ara
865de la tua crudeltà quegl’infelici
 prigionieri africani,
 i cui ceppi bagnai d’inutil pianto.
 MINUCIO
 Che dici?
 ARISBE
                     Il ver. Già è salvo
 de la Liguria il forte prence, Erminio.
 MINUCIO
870Erminio, dopo Annibale, il più fiero
 nemico a Roma?
 ARISBE
                                  Io ’l vidi;
 e due romani erangli scorta...
 MINUCIO
                                                        Oh cieli!
 Chi deluse l’editto?
 ARISBE
                                      Un generoso
 cor più del tuo, Fabio il tribuno.
 MINUCIO
                                                            Arisbe
875giurò sparger tra noi discordie e risse.
 ARISBE
 Ma l’odio mio non ha bugie sul labbro.
 MINUCIO
 Creder mi è forza. Altero
 Fabio, omai trema. Col poter già s’arma
 ragion, sdegno ed amore.
880A la vendetta mia darò i pretesti
 con la legge oltraggiata.
 Cadrà un rivale e piangerà un’ingrata.
 
    Mal si provoca e s’irrita
 chi ha ’l poter di gastigar.
 
885   O ragion sembrar fa onesto
 il suo sdegno o a lui pretesto
 mai non manca a condannar.