I due dittatori, Vienna, van Ghelen, 1726

 SCENA VII
 
 ARISBE e i suddetti
 
 ARISBE
525Sì. Valerio è romano;
 ma distinguerlo Arisbe
 sa da Osidio e dagli altri. A te si volle (A Valerio)
 defraudar tua ragione.
 Tu non eri nel campo. Io la difesi.
530Non è così? (Ad Osidio)
 OSIDIO
                         Nol so negar; né ’l festi
 spinta da facil genio
 ma per sparger tra noi discordie e risse;
 e Minucio presente, Arisbe il disse. (A Valerio)
 VALERIO
 Mi fu giusta però, se non amante. (Ad Osidio)
 ARISBE
535In faccia al campo io non dovea tal dirmi. (A Valerio)
 Era questo un arcano (Ad Osidio)
 ch’io serbava a Valerio.
 OSIDIO
                                             Ami il rivale?
 Per qual merto maggior? Volevi affetto?
 Ossequio? Fedeltà? Da me l’avesti.
 ARISBE
540È ver; ma agli occhi miei tu non piacesti.
 (Comincia il mio trionfo).
 OSIDIO
                                                  Ingiusta sei.
 ARISBE
 Perché? Forse beltade
 è tenuta ad amar ciascun che l’ami?
 Perché più degno sei? Se tal ti credi
545mal giudichi di te, peggio degli altri.
 Ma sia anche ver; nel tribunal d’amore
 non si consiglia il merto
 ma il cor. Chi piace più sempre è ’l migliore.
 VALERIO
 Ben ragiona.
 OSIDIO
                           Eh! Valerio,
550non tanto insuperbir. Di me sprezzato,
 tu più misero sei, perché ingannato.
 
    Quando l’amor favella
 sul labbro d’una bella
 per fare altrui dispetto,
555nol creder vero amor.
 
    Egli è con chi disprezza
 un’arte di fierezza;
 ed è con chi lusinga
 un vezzo ingannator.