I due dittatori, Vienna, van Ghelen, 1726

 SCENA VIII
 
 VELIA
 
 VELIA
295Nel giro di un sol giorno esser mai ponno
 per la misera Velia
 più affanni? In che mal punto
 giunsi a quel vallo, u’ sposa pria che amante,
 invece d’imeneo fra rose e canti,
300mi si affacciano orrori e stragi e ceppi!
 Senza nulla saper d’Erminio mio,
 se pur mio posso dir chi ancor non vidi,
 eccomi fino astretta
 a mentir l’esser mio. Ma schiava e sola
305qual difesa qui avrò da insidia e forza?
 Quale? Il mio onor, la mia fortezza. Erminio,
 nome, quantunque ignoto, a me pur caro,
 a te mi serberò. Né sorte ria
 né altra forza farà ch’io tua non sia.
 
310   Da due veltri anche inseguita,
 sola e pavida cervetta
 sì per selva or si raggira,
 per dirupi or sì si affretta
 che ne sfugge il dente e l’ira
315e si adagia in sicurtà.
 
    Qual piacer, se un dì mi è dato
 al mio sposo amante amato
 i perigli e le catene
 rammentar ma in libertà.
 
 Fine dell’atto primo
 
 Ballo di auguri e ministri del tempio.