I due dittatori, Vienna, van Ghelen, 1726

 ARGOMENTO
 
    Si sa in qual pericolo fosse Roma dopo le famose vittorie di Annibale alla Trebbia ed al Trasimeno. Quinto Fabio Massimo eletto prodittatore (da noi per più comodità del verso chiamato dittatore) fermò con la sua custodia e lentezza questo impetuoso torrente e rassicurò l’animo de’ cittadini e de’ soldati. Da principio però la sua lentezza, e nel campo e nella città, passò con titolo di codardia; ed egli invece di lode, ne riportò biasimo e derisione. Avvenne inoltre che per ragione dei sacrifici, essendo egli costretto di portarsi in Roma, raccomandò l’esercito a Marco Minucio, maestro de’ cavalieri, giovane audace, intraprendente e che in ogni luogo e occasione sparlava della condotta del dittatore, il quale inoltre gli ordinò che in sua assenza non osasse combattere. Ma Fabio appena partito, Minucio, valendosi peraltro della spensieratezza de’ nemici, i quali desolavano la campagna larinate, dove allora si facea la guerra, ne assalì una parte e le cacciò fin dentro il lor vallo, dove fe’ molti prigioni. Divolgatosi in Roma l’avviso di quella vittoria, conceputa assai maggiore di quello che era, diede motivo ai tribuni del popolo di creare un secondo prodittatore nella persona di Minucio e di darlo per collega a Fabio, il quale era partito di Roma con animo di punire severamente Minucio per il trasgredito comando. Convenne a Fabio rassegnarsi al decreto dei tribuni e dividere ugualmente l’esercito con Minucio, il quale con le sue due legioni sortitegli, campeggiò in luogo separato. Annibale si valse dell’occasione e non andò molto che lo tirò nella rete. Era egli in pericolo di esser tagliato a pezzi con ambe le sue legioni, se il generoso Fabio, opportunamente avvisato, non fosse accorso con le sue e, posti in fuga i Cartaginesi, non lo avesse di quel pericolo liberato. Minucio allora solamente si accorse della sua temerità e dell’altrui avvedutezza. Fattosi seguire dalle sue legioni, andò dopo il fatto alla tenda di Fabio e, chiamatolo suo padre e suo salvatore, rassegnò a lui la dittatura e le legioni, contento di tornare a militar sotto lui nel primo grado di maestro di cavalieri. Questo insigne successo è riferito da Livio, libro XXII, da Plutarco nella Vita di Fabio Massimo, da Appiano e generalmente da altri scrittori della storia romana. Gli amori di Minucio e del giovane Fabio con Velia e degli altri due romani con Arisbe, la prigionia di questa e di Velia, come pure di Erminio, e la sua amicizia col secondo Fabio, sono intrecciate nel dramma per dar maggiormente risalto all’azione principale.