Gianguir, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VIII
 
 MAHOBET con seguito di soldati, tutti con ferro in mano, e i suddetti
 
 MAHOBET
 Le vie chiudete ad ogni passo, o fidi.
 ZAMA
 Che fia?
 GIANGUIR
                   Qual nuovo ardir? Tu qui col ferro?
 MAHOBET
 Mi s’insidia la vita.
800Esser tuo non può il cenno. I miei nimici
 sprona furore e del real tuo nome
 si abusano insolenti.
 Vieni tu in mia difesa e gli confondi.
 GIANGUIR
 Perfido! È mio comando
805tua morte...
 MAHOBET
                         Esser non puote. Altra tu devi
 mercede a’ miei servigi.
 Seguimi.
 ZAMA
                    Oimè! Cresce il tumulto e l’armi
 giungono amiche. (Veggonsi in lontano le guardie reali in atto di avanzarsi. Allora volendo anche Gianguir por mano alla sciabla, Mahobet gli afferra il braccio colla sinistra; e alzando con la destra un ganzarro, sta in atto minaccioso d’immergerlo nel petto di Gianguir)
 MAHOBET
                                     Alcuno
 non ardisca avanzarsi; o al primo passo,
810questo nel regio petto acciar vedrete
 immerso e poi nel mio.
 ZAMA
 Fermati.
 GIANGUIR
                    Ah, traditore!
 MAHOBET
 Seguimi; e sia di scudo
 la tua vita alla mia;
815e poi vedrai se traditore io sia. (Gianguir vien condotto via da Mahobet, sempre nella positura di prima, accompagnato dinnanzi e di dietro dalle guardie di esso Mahobet e restando immobili a’ lati quelle del sultano)
 GIANGUIR
 Ah, Zama. (Riguardandola in partendo)
 ZAMA
                       Sposo... Oh dio! (Volendolo seguitare, si ferma alla prima occhiata di Mahobet)
 Più che a salvezza, a rischio
 ti è l’altrui fede; e vano è il pianto mio.
 
    Che fate? In difesa (Agitata)
820correte, alme forti,
 del vostro buon re.
 
    Che fate? Fermate.
 Fa orror la pietate;
 perfidia è la fé.
 
825E tu gitta, sospendi,
 volgi altrove quel ferro; e se non hai
 altra vittima degna
 delle tue furie, in questo sen l’avrai.
 
    Gioia e pace avrei da morte,
830se a tuo scampo avessi in sorte
 di morir, mio dolce sposo.
 
    Ma da fato dispietato,
 un piacer sì fortunato
 si contende al mio riposo.
 
 Il fine dell’atto terzo