Gianguir, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA V
 
 SEMIRA e JASINGO
 
 SEMIRA
 Quanto è credulo un cor, quando ben ama!
 JASINGO
 Che? Tradirlo potresti e non amarlo?
 SEMIRA
 Semira amarlo? Amar, Jasingo, in lui
180di Akebar il nipote?
 Il figlio di Gianguir?
 JASINGO
                                         Ei non ha colpa
 ne’ mali tuoi.
 SEMIRA
                            Padre, fratelli e regno
 gli empi mi han tolto. Tutto
 mi è nimico il lor sangue; e in mia vendetta
185l’armi del sesso adopro, arti e lusinghe.
 Con queste io fiamma accendo
 più che civile. Ad occhio asciutto e fermo
 vedrò stragi e ruine; e se fra queste
 vorran ch’io resti oppressa astri infelici,
190mi fia dolce il perir co’ miei nimici.
 JASINGO
 Ma se trafitto, esangue,
 ti vedessi spirar Cosrovio al piede?
 SEMIRA
 Crudel!...
 JASINGO
                     Con quel sospiro,
 che vuoi dirmi? Ah, regina,
195tal si crede nimico e pena amante.
 SEMIRA
 Che posso dir, Jasingo? E qual celarmi
 posso a te, da’ primi anni e mio custode
 e mia guida? Amo il prence; e quando penso
 i rischi, a cui l’espongo, odio il mio sdegno.
200Ma non importa. Amore
 ceda. Vinca il dover. Voglio esser prezzo
 d’una giusta vendetta. Il forte amante
 o mi meriti o cada; e poi, quand’altro...
 JASINGO
 Taci . Ecco Asaf.
 SEMIRA
                                L’altero. Ei si lusinghi.