Gianguir, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA IV
 
 JASINGO e i suddetti
 
 JASINGO
 Per cenno del sultan, prence, a te vengo.
 COSROVIO
 Che vuol l’ingiusto padre?
 JASINGO
145Che tu in finta tenzon renda più illustre
 col fior de’ tuoi più fidi il suo trionfo.
 Questo il campo ne fia.
 COSROVIO
                                             Basta che giunga
 un suo voler, perché sia nuova offesa.
 JASINGO
 Ma che dirai nel rimirarti a fronte
150il fratello di Zama?
 COSROVIO
 Asaf! A me tal onta?
 Punirò pria l’indegno; e sotto gli occhi...
 SEMIRA
 No, mio Cosrovio. T’amo
 cauto, più che feroce. A te coi torti
155lascia crescer ragion. Simula e soffri.
 COSROVIO
 Simular e soffrir non è da forte.
 SEMIRA
 E da forte e da saggio. All’uopo intanto
 pronte sien le tue schiere.
 JASINGO
                                                  E quelle in breve
 di Cambaia e Sorate a te verranno,
160non vil rinforzo.
 COSROVIO
                                Ed opportuno. Alinda,
 parto né d’esser chieggo
 de’ tuoi natali e de’ tuoi casi a parte.
 Tu vuoi farne un mistero alla mia fede.
 SEMIRA
 Ed un merito ancor; ma quando in guerra
165tu sia col mio tiranno,
 saprai mio regio sangue e mia giust’ira.
 COSROVIO
 Mi accheto. Amami e credi
 che, senza l’amor tuo, braccio rubello,
 né per desio di regno
170né per vendetta degli oltraggi miei,
 contra un padre ed un re, non alzerei.
 
    Non sarei nimico al padre,
 se di te non fossi amante.
 
    Mia ragione è il tuo furore;
175e se reo mi fa il tuo core,
 mi discolpa il tuo sembiante.