Gianguir, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA II
 
 COSROVIO e MAHOBET
 
 COSROVIO
 Lieto or t’abbraccio, amico.
 MAHOBET
                                                    Amico e servo,
 purché tu sia al mio re suddito e figlio.
 COSROVIO
40L’impostura al suo cor s’apre in mio danno
 troppo facile accesso.
 MAHOBET
 Fosse così. Ma a che lasciar repente
 di Bengala il governo?
 E qui trar numerose aste e bandiere?
 COSROVIO
45A che? Attender dovea che dalle insidie
 di Asaf e Zama a me di man divelto
 scettro fosse ch’è mio?
 MAHOBET
                                            Tuo, vivo il padre?
 COSROVIO
 Sì, Mahobet. Già stanca
 è la mia sofferenza. Il re son io.
50Contro Akebar, di cui
 re più grande e miglior l’India non ebbe,
 Gianguir, figlio rubel, pugnò e fu vinto.
 MAHOBET
 Perdon ne ottenne ed emendò il suo fallo.
 COSROVIO
 No. Akebar pria dal core e poi, morendo,
55dall’impero lo escluse e le ragioni
 in me ne trasferì. Mio è questo soglio;
 e Gianguir, che mi è padre, è un mio vassallo.
 MAHOBET
 Segui; e risponderò.
 COSROVIO
                                        Già del mio dono
 si abusa e me qual schiavo insulta e preme.
 MAHOBET
60Odo i lamenti e non ancor le accuse.
 COSROVIO
 Sai che in comun sciagura egli di Zama
 si accese, in Persia nata e di vil sangue.
 MAHOBET
 Ma degna per virtù del reggio letto.
 COSROVIO
 Siasi; ma in me non pensi
65stender le sue conquiste. Ella instigata
 dal fiero Asaf, pretende
 o me sposo a Miraca, ignobil germe
 de’ suoi primi sponsali, o la corona,
 la corona ch’è mia, con la sua mano
70minaccia in dote al mio minor germano.
 MAHOBET
 Perversa legge!
 COSROVIO
                               Alle abborrite nozze
 vuoi ch’io stenda la destra? O che infingardo
 mi lasci?... Ah, non fia ver. Sosterrò forte
 l’onor del sangue e la ragion del trono,
75che d’Akebar il successore io sono.
 MAHOBET
 Migliori e più beati
 quanto i prenci sarien, se udisser sempre
 il vero o meno lor piacesse il falso!
 Degna del tuo rifiuto
80è la figlia di Zama. In ciò mia fede
 l’onte non sosterrà del regio erede.
 Ma di certe lusinghe al dolce incanto
 chiudi, o sultan, l’udito.
 Gianguir è il tuo, non men signor, che padre.
85La natura e le leggi
 Akebar rispettò. L’orror del fallo
 miglior li rese il figlio; e in lui, morendo,
 lasciò al Mogol con pace un degno erede.
 Chi diverso ti parla è iniquo e mente
90in tuo danno o in suo pro. Fuggi la falsa
 turba, peste de’ regni e de’ regnanti.
 Ascolta il tuo dover. Per te rubello
 l’ire infauste sarien, l’armi infelici;
 ed il primo io sarei de’ tuoi nimici.
 
95   Corre a perdersi chi prende
 per sua guida un cieco sdegno,
 qual chi lascia il fral suo legno
 in balia di vento e d’onda.
 
    Cieco egli erra e a perder terra
100il suo stesso impeto il mena;
 e alfin trova infausta arena,
 dove crede amica sponda.