Gianguir, Venezia, Marciana, autografo

 SCENA VI
 
 SEMIRA e i suddetti
 
 SEMIRA
 (Che veggo? Il figlio a’ piè del padre? E in mano
 al padre il ferro ignudo?)
1370Cosrovio, a qual viltade indur (Alla voce di Alinda, Gianguir rivolta la faccia e Cosrovio si leva)
 indur ti lasci da un timor di morte?
 Supplice reo fa gloria ad un tiranno,
 pietà non mai. Sostieni
 con virtù la fortezza il destin. Son teco anch’io.
1375Sì. Qui vengo, o sultan, non per salvarlo,
 me di tutti aggravando i falli sui
 che miei pur son, ma per morir con lui.
 COSROVIO
 Che festi, o dio! Semira? Ed in qual punto
 giugnesti? Io chiedea morte; e di riposo
1380m’era il lasciarti in vita.
 SEMIRA
 Era egli giusto? A chi ben ama, i mali
 son comuni ed i beni.
 Gianguir, l’alma di lui con l’alma mia
 odio congiunse e amore.
1385Non le divida il tuo furor. Di un figlio
 feci un ribel. Se vivo,
 ti farò altri nemici. Io ne ho ’l potere.
 Guai per te, se mi lasci un breve instante,
 in cui dover mi sproni,
1390oltre del padre, a vendicar l’amante.
 COSROVIO
 Non l’ascoltar...
 GIANGUIR
                               Troppo anche udii. Contenti
 saran, perfida coppia, i vostri voti.
 Ne la reggia maggior tratti a l’aspetto
 d’altro giudice sien. Comune intanto
1395e rimorso vi lascio e tema e pianto.
 
    Un padre che condanni è troppo barbaro,
 che assolva è troppo debole.
 Un altro, anime ree, giudice avrete.
 
    Ma tal che in faccia a lui, per quanto siate
1400fiere, ostinate e perfide,
 confondere e tremar vi sentirete.