Gianguir, Venezia, Marciana, autografo

 SCENA V
 
 GIANGUIR, poi COSROVIO
 
 GIANGUIR
 Guardie, a me il regal seggio; (Partono due guardie)
 e al troppo reo Cosrovio omai preceda
1310il funesto apparato. (Vien recato a Gianguir il seggio imperiale)
 (Tua dignità sostieni, o re oltraggiato). (Siede. Dopo breve lugubre sinfonia, precedono Cosrovio le guardie, su la cima delle cui aste stan fitte le teste dei decapitati ribelli. Per mezzo queste, divise in due file, Cosrovio a lento passo si avanza, riguardandone or l’una, or l’altra e tacendo per qualche spazio di tempo)
 COSROVIO
 O a’ miei lumi!... O al mio core...
 funesto oggetto!... Ah! Quali
 periste, o fidi!... E tu, Jasingo, ancora?
1315Misero! Io ti serbava altra mercede.
 GIANGUIR
 (Cominci a sbigottir l’alma orgogliosa). (Cosrovio, veduto il padre, si avanza con impeto verso lui)
 COSROVIO
 Barbaro, cui non costa
 tanta strage che un cenno,
 del Mogol tu sei ’l re? Tu l’inumano
1320distruggitor ne sei.
 Tanto non v’infierir Persi né Sciti
 qual tu che di cotanti e de’ più prodi
 suoi guerrier lo spogliasti.
 GIANGUIR
                                                  Io? No. Costoro
 erano a me i più fidi, a me i più cari;
1325né stanco era il mio amor. Tu gli hai perduti.
 La tua malvagità fe’ la lor colpa
 e la loro sciagura.
 COSROVIO
                                   E i loro mali
 vendica in me. Da’ il colmo a tua fierezza.
 GIANGUIR
 Giust’è. Sol manca a questa
1330tragica pompa...
 COSROVIO
                                 Intendo. La mia testa.
 GIANGUIR
 Sì. Il più nobil suo fregio.
 Tua perfidia ed orgogl e alterezza abbian quel fine
 che macchinasti. Olà. Soldati. (Le guardie si accostano)
 COSROVIO
                                                         E sei
 tu ’l figlio di Akebar? N’hai la corona
1335ma non il cor. Di fellonia tu fosti
 nel sangue di Timur il primo esempio;
 e primo anche il sarai di crudeltade.
 GIANGUIR
 Partite; e de l’atroce (Le guardie tutte si ritirano in lontano)
 colpo non sia che spettatore il sole,
1340se pure anch’egli per orror nol fugga. (Si leva e snuda la sciabla)
 COSROVIO
 O fera, o mostro, o non mai padre, il mio
 carnefice già scorgo.
 Morte che mi atterrisse
 non v’è v’era. La trovasti. O me reo sempre,
1345e nascendo tua prole e che morendo
 non purgai prima di tal furia il mondo.
 GIANGUIR
 V’è tempo ancor. Prendi, empio figlio; e sazia (Gittandola a’ piè di Cosrovio)
 tua rabbia. Al trono ascendi
 sul cadavere mio. Troncane il capo.
1350Strappane la corona
 che usurpo; e del mio sangue
 stillante ancora, a te ne cingi il crine.
 COSROVIO
 (Giusto ciel! Qual orror!)
 GIANGUIR
                                                Che fai? Che tardi?
 Tu calpesti le leggi e la natura.
 In te tace virtù, spenta è pietade.
1355Son lontani i custodi.
 Soli qui siam. Sicuro è ’l tuo delitto.
 Chi ti ritien? Ferisci. Io son tuo padre.
 COSROVIO
 Ah! Troppo offeso e troppo (S’inginocchia)
 buon padre! Eccoti al piede
1360il troppo altero, il troppo reo Cosrovio.
 Ei non cerca pietà. Vuol pena e morte
 che lo tolga al suo orror. Ripiglia, o sire, (Raccoglie di terra la sciabla e la porge a Gianguir)
 il tuo ferro. In me il vibra
 e prevenga un mio tuo colpo e previeni un mio colpo
1365che esser deve opra tua. D’essermi padre
 scordati alfine. Io non son più tuo figlio.
 GIANGUIR
 (Le tue lagrime ascondi, o debol ciglio). (Volgesi all’altra parte, non vedendo Semira che sopraviene)