Euristeo, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA V
 
 ORMONTE e detti
 
 CISSEO
 Vieni, invitto guerrier; vien, del mio regno
 allegrezza e sostegno.
 A te scettro, a te deggio
190libertade, a te vita, a te de’ miei
 popoli la salvezza.
 Quant’ho, tutto è tuo dono.
 Per te vanto trofei, per te re sono.
 ORMONTE
 Ciò che feci in tuo pro, sire, è sì lieve
195che tua bontà, con esaltarne i pregi,
 ne rinfaccia i difetti.
 De’ tuoi ingiusti nimici il grave eccidio
 era impegno del ciel. Sua n’è la lode;
 tuoi fur gli auspizi; io sol ne fui ministro;
200e servì mia fiacchezza a far più fede
 del favor degli dii nel tuo trionfo.
 GLAUCIA
 Cor serbar sì modesto in tanta gloria
 è un saper dopo altrui vincer sé stesso.
 CISSEO
 Ma nol deve privar di sua mercede
205un’austera virtù. Tale è il tuo merto
 che avanza il mio poter né cosa offrirti
 posso che tua non sia. Chiedi e, se grado
 v’ha nel mio regno, dignità, tesoro...
 ORMONTE
 Sì, un tesoro, o signor, v’ha nel tuo regno
210che, se colpa non fosse il sol bramarlo,
 me beato faria nel suo possesso.
 GLAUCIA
 (Cieli! Aglatida?)
 CISSEO
                                   E qual?
 ORMONTE
                                                    Pria che col labbro
 nell’audacia del prego il cor sia reo,
 donami un breve indugio. Anche il tuo dono,
215senza un assenso altrui, mi saria pena.
 GLAUCIA
 (Mi rispetta il rival).
 CISSEO
                                         Siasi a tuo grado.
 Ma tacendo il tuo core,
 diventa il tuo silenzio un mio rossore.
 
    Si è vinto; al mio regno
220ritorna la calma;
 ma un certo mi sento
 affanno nell’alma
 che solo è per te.
 
    Nell’arduo cimento
225del giusto amor mio,
 è forza che anch’io,
 per esserti grato,
 obblii di esser re.