Euristeo, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA PRIMA
 
 AGLATIDA ed ISMENE
 
 AGLATIDA
 Pendono di più regni i casi estremi
 da un dubbio Marte; e in questo
 fatal momento, o libertà o catene
 stan su l’aste guerriere. Ah, cara Ismene,
5qual battaglia di affetti anche in quest’alma!
 ISMENE
 Spera, o bella Aglatida.
 Epigene fia vinto. Il prode Ormonte
 farà le usate prove; e i giusti numi
 della causa miglior saran custodi.
 AGLATIDA
10Rado si accoppia alla ragion la sorte.
 ISMENE
 Non facciam torto al cielo
 col disperarne. Dell’assedio ostile
 sciolta vedremo Edessa; e dell’illustre
 vincitor tu sarai prezzo e conquista.
 AGLATIDA
15Questi gran cori, all’arme avvezzi e pieni
 di magnanime idee,
 non piegansi ad amar che applausi e lauri;
 e son tutti alla gloria i lor sospiri.
 ISMENE
 Per te son quei di Ormonte. A che t’infingi?
 AGLATIDA
20Ah, se credessi, Ismene,
 tanta audacia in quel cor?...
 ISMENE
                                                     Sdegno ne avresti?
 AGLATIDA
 Che? Soffrirei ch’uom nato
 in vili oscure fasce a me, del grande
 macedonico impero unica erede,
25erger osasse temerario il guardo?
 ISMENE
 Anche a me nelle vene
 scorre sangue real. Sola al re d’Argo,
 del perduto Euristeo padre infelice,
 son figlia anch’io. Pur s’in te fossi, o quanto
30più di onor mi saria vedermi a’ piedi
 languir di amore il valoroso Ormonte
 che, con tutto il chiaror di sua corona,
 l’altero Glaucia.
 AGLATIDA
                                E il tuo Clearco ancora?
 ISMENE
 Sì, che più di grandezza e di fortuna,
35merito di valor piace e innamora.
 AGLATIDA
 Crudele amica! A forza
 tu mi strappi dal sen ciò che finora
 mal chiuder volli. Io lo credea delitto;
 e dover tu mel mostri.
40Ma l’amor mio, se lo condanna il padre,
 figlia mi troverà.
 ISMENE
                                  Del re la legge
 giurata è in tuo riposo;
 e Ormonte vincitor sarà tuo sposo.
 AGLATIDA
 Non mi so lusingar di un bene incerto;
45e col rossor di una delusa spene,
 non vo’ aggiugner fomento alle mie pene.
 
    Amo, bramo; e non dispero,
 per amar con più costanza;
 ma non credo alla speranza,
50per timor di più languir.
 
    Nella perdita di un bene
 vo’ accusar l’avversa sorte;
 ma non vo’ con falsa spene
 farmi rea del mio martir.