Euristeo, Venezia, Marciana, autografo

 SCENA III
 
 ISMENE, ERGINDA e AGLATIDA
 
 ISMENE
 Quella è Aglatida. Attendi. (Ad Erginda in lontano)
 ERGINDA
                                                    (Ah! Che in quel volto
 men colpevole trovo il mio infedele). (Erginda si ferma in disparte e Ismene si avanza)
 AGLATIDA
 Ismene, i tuoi presagi
 approvò il lieto evento.
 ISMENE
460E non resta a compirli
 che il felice imeneo. Tuo sarà Ormonte.
 ERGINDA
 (Ormonte!)
 ISMENE
                         (Ah! Quasi in dirlo io sospirai).
 AGLATIDA
 Ma sinor tacque il padre.
 ISMENE
 Tacque ancora l’amante. Ormonte chiegga
465dopo aver meritato. Un re vuol sempre
 che sue grazie sien dono,
 quando ancor son mercede, e che si creda
 che pregato le dia, più che costretto.
 AGLATIDA
 Prova scorgi d’affetto
470nel silenzio di Ormonte. A lui fu a core
 pria del regio voler quel d’Aglatida.
 ISMENE
 Qual rispondesti?
 AGLATIDA
                                    Oh! Tal risponda il padre.
 ISMENE
 Felice te!
 AGLATIDA
                    V’ha chi ne ascolta. (In volgendosi vede Erginda)
 ISMENE
                                                         Avanza,
 ninfa gentil, ch’omai n’è tempo, il passo.
 ERGINDA
475A te, vergine illustre,
 bacia la nobil destra
 sconsolata donzella
 che, quantunque di selve abitatrice,
 pur vanta in gentil sangue alma non vile.
 ISMENE
480Se molte avesse a lei simili il bosco,
 di che arrossirne avrien le regge istesse.
 AGLATIDA
 Ben ne giudichi, Ismene. Udiamne i casi,
 qual venga e donde e qual s’appelli.
 ERGINDA
                                                                   Erginda
 è ’l mio nome, a Tersandro
485pastor, sì, cui più greggi
 pascono in larghi campi,
 ma del tempio custode, ove si cole
 l’almo olimpico Giove, unica figlia.
 ISMENE
 Qual tempio mi rammenti? Ed in qual parte?
 ERGINDA
490Quel che in Elide è posto, a cui fann’ombra
 il vicin monte e ’l sacro bosco.
 ISMENE
                                                        Ah! Quivi,
 quivi fu che per fiera
 legge de’ numi esposto
 fu il bambino Euristeo. Sapresti, Erginda...
 ERGINDA
495Fia tempo. Or de’ miei casi
 sì mi preme la sorte
 che ogn’indugio è mortal.
 AGLATIDA
                                                 Siegui. T’ascolto.
 ERGINDA
 Crebbe sin da’ prim’anni a me compagno
 vago pastor. Comune
500fu a noi la patria mensa, il patrio tetto.
 Ci amammo infin d’alora
 che ancor non sapevam che fosse amore;
 e ’l padre ne godea. Giunti all’etade
 in cui meglio conosce il cor sé stesso,
505con reciproca fede... Ah! Che mi giova
 ricordar le innocenti
 fiamme, i pudichi affetti? O dio! Repente
 veggo il giorno sparir, colui fuggendo
 che mel rendea sereno.
510L’attendo. Invano. Lo sospiro. Al vento.
 Compie l’anno. Ei non riede. Io la temea
 ma non tutta sapea la sua incostanza.
 Fama non menzognera a me ne giugne.
 Non resisto. Furtiva
515ai domestici lari e al padre, oh! quanto
 dolente ei fia! m’involo; e qui lo sieguo.
 Qui lo trovo sleal! Qui in altrei spoglie affetti,
 non men che in altre spoglie,
 oggi, se tua pietà non mi soccorre,
520invan da me convinto, invan pregato,
 sposo d’altra beltà sarà l’ingrato.
 ISMENE
 Mi mosse il pianto. (Ad Aglatida)
 AGLATIDA
                                       E me di sdegno accese. (Ad Ismene)
 Il tuo infedel, quand’io lo sappia, il giuro, (Ad Erginda)
 vedrai pentito o ne avrà pena acerba.
 ERGINDA
525Più di quello che pensi,
 anche per Aglatida ardua è l’impresa.
 AGLATIDA
 La mia fé ti assicuri. Al re son figlia.
 ERGINDA
 La tua pietade istessa
 sbigottirà del traditore al nome.
 AGLATIDA
530Cotesta inopportuna
 diffidenza mi offende. O parla o vado.
 ERGINDA
 Ti si ubbidisca a costo
 anche del tuo dolor. Colui...
 ISMENE
                                                    Ti nocque
 l’indugio. Ecco i custodi. Ivi Clearco.
535Non lontano è Cisseo.
 ERGINDA
                                          Sorte nemica!
 AGLATIDA
 Qui resta, Ismene, e quai rivolga il padre
 sul destin del mio amor sensi, raccogli.
 Ei qui non mi sorprenda.
 Erginda attenderò ne le mie stanze.
540(M’inganno forse; ma costei nel petto
 non so qual mi versò ghiaccio e sospetto).