Euristeo, Venezia, Marciana, autografo

 SCENA III
 
 CLEARCO e GLAUCIA
 
 CLEARCO
 Da un rio timor mi assolve
 un sì dolce comando.
125Ismene ubbidirò.
 GLAUCIA
                                   Dunque, o Clearco,
 sovra te de l’Etolia,
 sovra me de l’Illirio alti almi regnanti,
 vile, ignoto straniero,
 più felice che forte, a torne i vanti,
130a rapirne le spoglie e de le genti
 a renderne verrà favola e scherzo?
 CLEARCO
 Glaucia, a chi spada impugna,
 sia di regio natale o di plebeo,
 egualmente a la gloria è aperto il calle.
135Ne l’armi ci distingue
 il valor, non il sangue. Ormonte ha vinto;
 e sul premio, ond’ei vinse, a noi [illeggibile] men forti
 più non resta ragion.
 GLAUCIA
                                         Come? Di lui
 fien la vergine eccelsa e ’l gran retaggio?
 CLEARCO
140Mostrarne pena accrescerebbe il torto.
 GLAUCIA
 Ei, senza il mio favor, basso ancor fora
 vapor. Luce io gli diedi. Ei sel rammenti.
 CLEARCO
 Ciò che gli devi a te sovvenga ancora.
 In quel primo per noi conflitto infausto
145egli ti tolse a irreparabil morte.
 Nel braccio ancor ne porti impressi i segni.
 GLAUCIA
 Sia Glaucia preservato e Glaucia amico
 ma non Glaucia rival la sua mercede.
 CLEARCO
 Giudicarne del merto al re s’aspetta.
 GLAUCIA
150Al nodo disugual che il re consenta?
 CLEARCO
 Tu la legge il decreto ne sai. Soffrir n’è forza.
 GLAUCIA
 L’onta soffrirne e ’l danno
 può l’amante d’Ismene,
 non mai quel d’Aglatida. A mete eccelse
155porti Ormonte il suo fasto
 ma non oltre il dover. Si riconosca.
 Io l’alzai. Me rispetti; o in breve oppresso
 egli sarà dal suo sostegno istesso.
 CLEARCO
 Glaucia, sin dove Ormonte
160erger pensi le brame
 nol so. Ne veggo il merto e non il core;
 ma in onta di chi ’l giusto a lui contenda,
 qui troverà chi sue ragion difenda.
 
    Sotto un furor possente
165l’amico e l’innocente
 non lascerò cader.
 
    Aggiugne l’onta al danno
 chi vuol con forza o inganno
 il torto sostener.