Andromaca, Vienna, van Ghelen, 1724

 SCENA VIII
 
 PIRRO ed ERMIONE
 
 PIRRO
 Ira sia, che ti accenda, o siasi orgoglio,
 qual ragion ti concede o questo o quella,
 dove Pirro sol regna?
 Sparta questa non è; né al re tuo padre
210toccò Andromaca in sorte. Ella è mia spoglia;
 e se a te sembra giusto
 col titol nuzial, che ancor non hai,
 usar libero impero
 sul mio core e sui miei, giusto anch’io trovo
215sfuggir noia e servaggio. Io non vo’ moglie
 che mi rechi per dote insulti e liti;
 né sposo sofferente esser mi aggrada.
 ERMIONE
 Né d’ira né d’orgoglio
 qui venni armata ad insultarti, o Pirro.
220Sposa venni a quel nodo, a cui già furo
 pronubi i nostri padri.
 O nodo infausto! O mal lasciata Sparta!
 Per la vedova d’Ettore si sprezza
 di Menelao la figlia; e ch’io l’oltraggio
225abbia a soffrir? Nipote
 son degli Atridi; e quel poter, che valse
 ne la lor casa a vendicare un ratto,
 punir saprebbe anche un ripudio. Ah! Pirro,
 contra la Grecia non ripigli l’armi
230la Grecia. A tanta guerra
 Andromaca è vil prezzo. Il torto e ’l danno
 prevenir volli, con esiglio o morte,
 togliendola al tuo fianco.
 Se questo sia risse portarti in dote
235o levarne il pretesto, amor tel dica.
 PIRRO
 Amor? Eh tra di noi
 questo nome si taccia. A te fa senso
 non che Pirro non t’ami
 ma che Pirro ti sprezzi. Ormai parliamo
240sincero. In questo solo
 convengon le nostr’alme, in non amarci.
 Tu in Oreste, io in Andromaca l’oggetto
 abbiam del nostro affetto.
 Me con questa il mio Epiro e te con quello
245rivedrà la tua Sparta. Ivi fra poco
 ti scorterà il tuo amante. Io miglior face
 arderò al mio imeneo. Soffrilo in pace.
 ERMIONE
 Pace, sì, pace avrò. Non è dovere
 che per alma spergiura io viva in pene.
250A Pirro avea serbato
 questo cor, questa mano. Ei la rifiuta.
 Sai chi l’avrà? Sarà mio Oreste e, Pirro,
 chi mi vendicherà de’ tuoi spergiuri.
 Va’ pur. De la tua schiava
255fa’ la tua principessa e la tua sposa.
 Giura a lei quella fede
 che togli a me. Porta agli altari e ai numi
 quel cor che mi abbandona .
 
    Corri. Va’.
260Ma verrà
 tra le faci e tra gli altari
 a trovarti il furor mio.
 
    Né di Ermione abbandonata,
 che condanni ai patri lari,
265questo è ancor l’ultimo addio.