Andromaca, Vienna, van Ghelen, 1724

 SCENA II
 
 ELENO
 
 ELENO
 A me dato è talor dal divo Apollo
 entrar ne’ cupi abissi
 de l’avvenir. Ma da sé stessa ancora
 l’alma è presaga. In sul mattin dal sonno
35scossemi un non usato
 palpito; e da quell’erta
 vetta del tempio in mar guardando, al lido
 vidi appressarsi, e ben le riconobbi,
 più greche navi. O cara
40Andromaca, a te corse il mio timore
 e al tuo misero figlio. A te può scudo
 esser l’amor di Pirro.
 Chi ’l sarà al tuo Astianatte? In me, comunque
 ne dispongano i fati,
45vedrai, donna infelice, un fido amante,
 amante sì, ma che in suo cor sospira
 e non osa di più, del tuo consorte
 tra le ceneri ancora
 la tua virtù tanto egli teme e onora.
 
50   Taccio ed amo
 un bel volto ed un gran core.
 
    Quello io bramo
 e a lui vanno i miei sospiri.
 Ma i desiri
55questo affrena e pena amore. (In atto di entrar nel tempio)