Nitocri, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VII
 
 NITOCRI con guardie e i sopraddetti
 
 NITOCRI
 Si allontani ciascun. Mirteo mi attenda. (Micerino e gli altri si ritirano)
 MIRTEO
750(Nitocri è mia regina. Anche fra l’ire,
 ossequio mio, non obbliar te stesso).
 NITOCRI
 Mirteo, so la tua pena e n’ho pietade.
 Un lungo amor nudrito
 di soavi speranze,
755per cui tanto soffristi e tanto oprasti,
 un amor, che ti ha chiusi
 gli occhi ad ogni altro oggetto
 e forse anche più degno e più sublime,
 alfin ben meritava altra mercede.
760Emirena fu ingiusta. Un comun vizio
 sembra del nostro sesso
 nella scelta ingannarsi
 e far torto al miglior. Ma un ben perduto
 spesso è di grado a un maggior bene. Io t’offro
765compenso al danno. Ove il desire in altri
 saria stoltezza e colpa,
 tu a sperarlo hai ragion, merto a ottenerlo.
 MIRTEO
 Tua bontà mi ritrova, o regal donna,
 stupido e non ingrato.
770I tuoi doni altrui serba; in me li perdi,
 qual verde innesto in nudo arido tronco.
 Campo fertile un tempo,
 cui torrente allagò, s’altro non rende
 frutto che arene e sassi,
775n’è rea la torbid’onda. Il fier dolore,
 che l’alma occupa e preme,
 toglie luogo a conforto, il toglie a speme.
 NITOCRI
 Piaga, che stilli ancor, fa troppo senso.
 Ciò che ragion non puote
780farà il tempo, o Mirteo. Sue forze perde
 l’onda che allaga e il buon terren rinverde.
 
    Saggio sei. Non sempre viene
 ogni mal per nostro affanno.
 
    Spesso il mal sta nell’inganno.
785Scorto ingegno il cangia in bene,
 cieca doglia il pasce in danno.