Nitocri, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA V
 
 MANETE
 
 MANETE
205Qualor mal consigliata
 insana ambizione occupa un’alma,
 addio pace, addio onore, addio ragione.
 Non fé, non legge, non dover. Le sembra
 onesta la perfidia,
210necessaria la colpa;
 e dei non crede o suoi li crede, e iniqui.
 Da questa furia ecco invasato, ahi quanto!
 il misero Ratese. In lui mi è forza
 della dolce mia sposa amare il padre.
215Ma nell’abisso, ove sen corre, invano
 trarmi ei vorria, che l’anima il rifugge.
 Così il morto buon re potuto avessi
 togliere a morte. Io ravvisai la mano
 sol dopo il colpo. Egual destin poc’anzi
220sovrastava a Nitocri.
 Lo seppi e il riparai. L’autor ne tacqui;
 né danno fece alla pietà la fede.
 Piaccia agli dii che a più crudel dovere
 un dì non mi costringa il mio rimorso.
 
225   Sono amico e sposo sono;
 ma fedel mi vuole al trono
 innocenza, onor, dover.
 
    Non v’ha legge e non affetto,
 onde il cor si senta astretto,
230suo malgrado, ad esser empio,
 o con l’opra o col tacer.