Nitocri, Vienna, van Ghelen, 1722

 SCENA VII
 
 NITOCRI con guardie e i sopradetti
 
 NITOCRI
 Si allontani ciascun. Mirteo mi attenda. (Micerino e gli altri si ritirano)
 MIRTEO
750(Nitocri è mia regina. Anche fra l’ire,
 ossequio mio, non obbliar te stesso).
 NITOCRI
 Mirteo, so la tua pena e n’ho pietade.
 Un lungo amor nudrito
 di soavi speranze,
755per cui tanto soffristi e tanto oprasti,
 un amor, che ti ha chiusi
 gli occhi ad ogni altro oggetto
 e forse anche più degno e più sublime,
 alfin ben meritava altra mercede.
760Emirena fu ingiusta. Un comun vizio
 sembra del nostro sesso
 ne la scelta ingannarsi
 e far torto al miglior. Ma un ben perduto
 spesso è di grado a un maggior bene. Io t’offro
765compenso al danno. Ove il desire in altri
 saria stoltezza e colpa,
 tu a sperarlo hai ragion, merto ad ottenerlo.
 MIRTEO
 Tua bontà mi ritrova, o regal donna,
 stupido e non ingrato.
770I tuoi doni altrui serba; in me li perdi,
 qual verde innesto in nudo arido tronco.
 Campo fertile un tempo,
 cui torrente allagò, s’altro non rende
 frutto che arene e sassi,
775n’è rea la torbid’onda. Il fier dolore,
 che l’alma occupa e preme,
 toglie luogo a conforto, il toglie a speme.
 NITOCRI
 Piaga, che stilli ancor, fa troppo senso.
 Ciò che ragion non puote
780farà il tempo, o Mirteo. Sue forze perde
 l’onda che allaga e ’l buon terren rinverde.
 
    Saggio sei. Non sempre viene
 ogni mal per nostro affanno.
 
    Spesso il mal sta ne l’inganno.
785Scorto ingegno il cangia in bene,
 cieca doglia il pasce in danno.