Ormisda, Vienna, van Ghelen, 1721

 SCENA XII
 
 ARSACE, ARTENICE e COSROE
 
 COSROE
 Che vidi?
 ARTENICE
                     O degno amante!
 COSROE
 Tu figlio di Palmira, in mia difesa?
 ARSACE
 Io fratello di Cosroe, in sua salvezza.
 COSROE
1390È ver. Sol riconosco in te il mio sangue.
 ARSACE
 La mia regina in me svegliò fortezza.
 ARTENICE
 Nobil cor, quale il tuo, cote è a sé stesso.
 ARSACE
 Ah! Nulla ancor fec’io, se resti avvinto. (Snuda il suo stilo)
 COSROE
 Che far pensi?
 ARSACE
                              Con questo aprir tuoi ceppi.
1395Farti scudo io ben seppi
 da l’ire di un fellon. Forse da quelle
 non potrei de la madre
 e perderei di sì bell’opra il frutto. (Arsace va aprendo col ferro le manette, a cui sta inchiavato il braccio di Cosroe)
 COSROE
 Tua pietà sia più cauta. Io son del regno
1400l’erede e tuo rivale.
 Ne la mia libertà, ne la mia vita
 dispera di ottener scettro e Artenice.
 ARSACE
 Il duol ne soffrirò senza rimorso.
 ARTENICE
 E purché generoso, ei sia infelice.
 ARSACE
1405Sciolto, o Cosroe, già sei. Fuor de l’infausto
 carcere affretta il passo.
 Seguanti questi arcieri, onde in lor danno
 non torni la pietà che li rattenne.
 Riedi al tuo campo. Estingui
1410il tumulto che v’arde; o se ti spinge
 rimembranza di torto a la vendetta,
 sovvengati che Arsace, quell’Arsace
 che ti tolse a periglio,
 sì, quell’Arsace è di Palmira il figlio.
 COSROE
1415Del dono, che ricevo, il dover mio
 farà buon uso. Amanti cori, addio. (Parte per la scaletta seguito dagli arcieri)